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Preti profetici, Jacques GAILLOT
Aurelio, il nostro responsabile internazionale, è venuto a trovarmi a Parigi in modo molto fraterno. Mi ha chiesto di condividere ciò che desidererei dire ai sacerdoti delle fraternità. Condividere con voi su ciò che è il vostro ministero e la vostra vita.
Ma parlare di preti, significa parlare dell’Uomo, di coloro ai quali siamo inviati. Non siamo forse a servizio di un popolo?
Una sera, prendendo la metropolitana in un’ora di punta, mi trovavo in piedi, stretto da ogni parte e nell’impossibilità di trovare un punto di appiglio con la mano. Secondo i movimenti del metrò, mi appoggiavo sugli uni e sugli altri. Qualcuno mi aveva individuato e sorrideva della mia situazione precaria. Poiché siamo scesi alla stessa stazione, non ho potuto fare a meno di dirgli: «Vedete, ciò che fa tenere in piedi un vescovo, è la gente!».
1- Partire dall’umano
Seguaci di P. de Foucauld, siamo segnati dalla spiritualità di Nazareth: uno stile di vita semplice, povero, immersi nella vita ordinaria della gente. Gesù, uomo di Nazareth, ha vissuto molteplici esperienze attraverso il suo lavoro, le ingiustizie del suo tempo, i suoi legami tessuti con i poveri, la sua presenza nelle famiglie, condividendo le loro gioie e le loro pene, la sua preghiera al Padre nella solitudine. Il Suo cuore, plasmato da tutti questi incontri, bruciava del fuoco dell’amore per il suo popolo. Questa lenta maturazione lo preparava alla sua missione profetica che inaugurerà in modo sorprendente alla sinagoga di Nazareth. Era giunta la sua ora.
«Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione.
Mi ha inviato a portare la Buona Notizia ai poveri,
annunciare ai prigionieri la liberazione,
e ai ciechi che ritroveranno la vista,
rimettere in libertà gli oppressi,
annunciare un anno di grazia accordato dal Signore» Lc 4,18-19
Tutta la vita pubblica di Gesù sarà l’attuazione di questa predicazione di Nazareth.
Non è un discorso religioso che parla della legge: È un discorso che parla solo della persona umana.
Non è un discorso su Dio, è un discorso sull’Uomo.
Non è un discorso di restaurazione, è un grande messaggio di liberazione che cambia la vita.
Che discorso stupefacente!
La spiritualità di Nazareth non può fare a meno di una tale proclamazione.
In essa troviamo il soffio della dimensione profetica del nostro ministero e della nostra vita di sacerdoti.
Succede, come forse anche a voi, che delle persone mi dicano: «Io non vado più in chiesa» oppure «Da tempo non pratico più!».
Per queste persone, è chiaro che si tratta della pratica religiosa. Ma la pratica fondamentale del Vangelo, è quella della giustizia e dell’amore che dobbiamo dare al prossimo.
Non è la pratica religiosa!
Nel giudizio finale, non mi si chiederà quante messe ho celebrato o quanti matrimoni ho benedetto. Mi si dirà: «Cosa hai fatto del tuo fratello che era straniero, prigioniero, malato, affamato…».
L’essenziale è la pratica del fratello, la pratica della solidarietà. Nessuno ne è dispensato, anche quando si è in pensione. Come mai tanti cristiani non hanno scoperto l’importanza di questa “pratica” della giustizia e dell’amore che sono dovuti al prossimo?
Nella sinagoga di Nazareth, Gesù annuncia che è venuto a portare la Buona Notizia ai poveri. Non dice ai ricchi, ai potenti…
Ha fatto la scelta dei poveri. Comincia da loro. Si pone dalla parte degli oppressi e non degli oppressori, dalla parte delle vittime e non dei potenti, dalla parte degli umiliati e non dalla parte di coloro che li sfruttano.
Gesù si è subito rivolto a coloro che sono rifiutati, dimenticati. Facendo questa scelta di cominciare dai poveri, si è aperto a tutti. Non rifiuta nessuno.
Come è raro, nella società come nella nostra Chiesa fare la scelta di cominciare dai poveri!
Mi rallegro che papa Francesco abbia deciso di canonizzare Mgr Romero che è una figura profetica di lotta per la giustizia.
«I cambiamenti necessari in seno alla Chiesa, nella sua pastorale, l’educazione, la vita sacerdotale e religiosa, nei movimenti laici, che non avevamo potuto realizzare finché il nostro sguardo era unicamente fissato sulla Chiesa, li realizziamo oggi nel momento in cui ci rivolgiamo ai poveri».
È a partire dai poveri che la Chiesa potrà esistere per tutti, potrà stimolare i potenti attraverso una pastorale di conversione; ma non il contrario, come è accaduto spesso».
Discorso all’università di Lovanio per la consegna del titolo di dottore honoris causa, 2 febbraio 1980.
«… Non c’è nessun onore per la Chiesa tessere buone relazioni con i potenti. L’onore della Chiesa, è che i poveri la sentano loro».
Salvador, omelia, del 17 febbraio 1980
2. Essere una speranza per i poveri
Una parola di don Helder Camara mi aveva colpito un tempo: «Se non sono una speranza per i poveri, non sarò il prete di Gesù Cristo».
Léon Schwartzenberg, cancerologo rinomato, ha militato quand’era in pensione, nell’associazione dei clandestini di cui io faccio parte. Era un amico. Giudeo ateo, mi chiamava: «Il mio vescovo preferito».
Alla sua morte, è stato portato nel cimitero di Montparnasse a Parigi, nel quartiere ebraico. La folla dei poveri era all’appuntamento, riempiendo il cimitero. Clandestini, senza dimora, erano venuti, anche da lontano, per «Léon» che aveva fatto tanto per loro e che rimaneva per loro un segno di speranza.
Quando Victor Hugo, il celebre autore dei Miserabili è morto, la folla dei poveri in decine di migliaia si è subito mobilitata in tutta Parigi per accompagnarlo alla sua ultima dimora: il Phantéon.
Non aveva voluto la preghiera della Chiesa, ma nel carro funebre dei poveri che aveva chiesto, beneficiava della riconoscenza dei «miserabili» di Parigi.
Oggi, lì dove vivi, chi porta la speranza dei poveri?
Al momento della mia partenza da Évreux nel 1995, nell’ultima omelia alla cattedrale, mi rivolgevo alla folla:
«Ogni cristiano, ogni comunità, tutta la Chiesa che non prende anzitutto, e prima di tutto, il cammino delle difficoltà degli uomini non ha alcuna possibilità di essere compreso come portatore della Buona Notizia.
Ogni uomo, ogni comunità, tutta la Chiesa che non si fa anzitutto, e prima di tutto, fraterno con ogni uomo, non potrà trovare il cammino del suo cuore, il luogo segreto in cui questa Buona Notizia può essere accolta».
Gesù è stato una grande speranza per i poveri. È andato verso di loro con misericordia, non escludendo nessuno. I poveri si sono sentiti amati da Dio. I più diseredati hanno scoperto con meraviglia che erano i preferiti di Dio.
Nel Vangelo, la sola attitudine che possa liberare qualcuno, è di riconoscere la sua dignità.
3. Superare le frontiere
Avete notato questo contagio dei muri nel mondo? Se ne costruiscono un po’ dappertutto. Muri che separano i popoli e impediscono loro di muoversi liberamente. Muri di filo spinato per proteggersi dall’arrivo dei migranti. Nell’associazione dei clandestini, composta da numerose nazionalità, abbiamo come motto: «Non muri tra i popoli, nessun popolo tra le mura».
Non mi piacciono i muri. Quando vado nelle prigioni, sono contento di uscirne e di lasciare queste mura che mi privano di ogni orizzonte!
Gesù ha trascorso la sua vita a fare cadere muri: il muro del denaro, il muro dei pregiudizi e della diffidenza, il muro dell’indifferenza, il muro dell’oblio. E soprattutto, attraverso la sua morte sulla croce, ha fatto cadere il muro dell’odio che ci separava gli uni dagli altri.
Apprezzo che Gesù sia nato fuori dalle mura, e che sia morto fuori dalle mura.
Per vedere la luce del sole di Pasqua, bisogna uscire dalle mura.
Oltrepassare le frontiere «che sono in noi stessi» è difficile. Che conversione ci è richiesta! Ma non è necessaria per diventare un fratello universale?
Si può andare in missione in capo al mondo portando in sé un modello culturale antico e inadatto!
In Europa apparteniamo a società che non sono più segnate da valori cristiani tradizionali. Perché voler imporre a tutti valori che non sono applicabili per un gruppo determinato di persone?
A vino nuovo, otri nuovi.
Quando, in Francia, è stato autorizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che scandalo! Ivi compreso presso i preti. In questo riconoscimento pubblico di coppie omosessuali, non si trattava più di tolleranza ma di diritto. È un cambiamento culturale considerevole.
Oggi con la mondializzazione, le religioni sono presenti nello spazio pubblico. Sono presenti nelle scuole, negli ospedali, nelle prigioni, nei luoghi di lavoro… Un cappellano della prigione mi confida:
«Per trent’anni, ero il solo cappellano. Tutto andava bene. Ora ho un rabbino, un imam, un pastore e un evangelista con il quale non andavo d’accordo. Era ora di andare in pensione!».
Ciò mi evoca un proverbio africano :
«Quando si è soli, si va più veloci, quando si è insieme, si va più lontano!».
Come diventare un fratello universale senza accettare di ricevere dagli altri?
E se si modificasse lo statuto sociale dei sacerdoti? Abito in un paese in cui i sacerdoti sono rari e in cui le comunità cristiane manifestano la richiesta della loro presenza.
Non posso impedirmi di fare un sogno, il sogno che si possano chiamare uomini o donne di esperienza, sposati o no, che abbiano un lavoro, una professione. E questo per un tempo determinato. Con l’accordo delle comunità e del vescovo, si potrebbe imporre loro le mani.
Non si tratterebbe più di attendere che dei candidati si presentino, ma di prendere l’iniziativa di chiamare in funzione dei bisogni della Chiesa locale.
Ci si può chiedere d’altronde: quelli che si presentano oggi nei seminari saranno i sacerdoti di cui la Chiesa avrà bisogno domani?
Il Padre de Foucauld era sensibile agli avvenimenti. Gli avvenimenti lo facevano spostarsi. Uomo in cammino e in ricerca, era capace di andare altrove e di vivere in modo diverso. Non si insediava mai. Per lui, l’insediamento era una morte. A causa di Gesù e del Vangelo si diceva pronto ad andare fino alla fine.
Siamo sbilanciati in un mondo nuovo. Siamo testimoni della fine di un mondo. Testimoni anche della nascita di un altro mondo che non si sa ancora come sarà. Il nostro cammino rivela nuovi orizzonti e apre alla novità.
In Francia, quando veniamo fedelmente ogni mese all’incontro della fraternità, è commovente vederci arrivare carichi di anni, handicappati, affaticati…
Ci si crede già morti. Ma quelli che lo dicono hanno dimenticato che eravamo dei semi. Semi di vita!
Il domani è da costruire.
+ Jacques GAILLOT,
Vescovo di Partenia
(Español) Boletín JUNIO 2016 Nº 71, Comunidad Horeb
(Español) Orar para Vivir. Diego MELENDO MORENO
(Español) Comunicación de Roberto GUZMÁN (Chile) desde Mozambique. Vivencias de un misionero.
Lettera dal Cardinale STELLA alla fraternità
(Português) Logotipo Centenário de Charles
(Español) Boletín MAYO 2016 Nº 70, Comunidad Horeb
(Français) Lettre de Grégoire CADOR, Cameroun, Avril 2016
Lettera di Pasqua 2016, fratello responsabile
Carissimi fratelli,
la nostra Pasqua, segnata dai fatti terroristi di Brussel, Yemen, Irak e ultimamente di Lahore, non può rimanere rinchiusa a un insieme di tristi notizie, da sensazioni di impotenza o di paura accumulata. E’ la Pasqua che Gesù ci offre per vincere la morte e perciò un invito a vincere tutte le morti, sia personali che sociali. Ma senza chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Togliamo la pietra della paura, della mancanza di fede, dell’autocompassione e del pregiudizio verso l’Islam o i mussulmani della loro buona fede che tutti conosciamo. Togliamo le pietre che ci imprigionano o che imprigionano gli altri, e poniamo il nostro sguardo in Gesù Risorto, uno sguardo che non è esente dalla paura, come lo sguardo delle donne che vanno al sepolcro di Gesù, come lo sguardo dei suoi discepoli. Paura umana, comprensibile. E’ per loro difficile accettare che la realtà è cambiata, ma lo Spirito li guida a guardare Gesù con la gioia di un amico che incontra l’altro. Buana Pasqua a tutti, a tutti coloro con cui ci relazioniamo, a tutti gli amici con problemi, a tutte le famiglie e fraternità. Fratel Carlo ha scritto nello stesso giorno della sua Pasqua che
bisogna morire per dare vita. Il suo Centenario è una continua chiamata a contemplare ciò che non ha senso nella vita di molta gente, che vive solo del denaro, della sicurezza, di stare tranquilli senza sentire il dolore altrui. Gesù Risorto ci aiuti a cambiare l’acqua amara in un buon vino che rallegri la festa e la vita di giorno in giorno, la vita di Nazaret.
Il nostro fratello Giuseppe COLAVERO ha vissuto ieri la sua Pasqua e l’incontro con il Padre. Ci sentiamo tristi per aver perso un caro fratello che lottava per i più bisognosi, il fondatore e l’anima di AGIMI, il buon pastore del suo popolo. Ci uniamo alla sua gente e alla fraternità italiana. Da alcuni mesi abbiamo accompagnato l’evoluzione della su malattia, e il glioblastoma cerebrale ha vinto sulla sua vita, ma non il suo spirito generoso e combattivo a favore di tanta gente che ha aiutato. Alcune settimane fa ci ha lasciato anche il fratello Hermann STEINERT, tedesco. Ambedue ora sono insieme al Signore contemplando il suo volto e il suo cuore di Padre. Hermann e Giuseppe ci proteggano e ci aiutino. La loro fraternità con noi non è finita.
Vi auguro di vivere questa Pasqua con la gioia dei perdonati, dei figli amati del Padre, del fratello piccolo che impara dal fratello maggiore, Gesù, il Signore. Con la gioia a cui ci invita Papa Francesco. Dall’Europa ci sentiamo feriti,ma non sconfitti, con vergogna per il dramma dei rifugiati siriani che non trovano porte aperte, come esseri umani con tutti i loro diritti. Come integrare queste realtà dolorose nel nostro annuncio e nella nostra missione? I governi europei patteggiano milioni di euro lasciando questa gente alla responsabilità di altri paesi. I poveri danno fastidio, riempiono le strade, sporcano, mettono le loro tende tra noi, si sfidano anche fra loro, cadono in mano dei mafiosi che controllano il loro futuro…
Che cosa diciamo come cristiani nelle nostre parrocchie? Chi ha la parola giusta per dare speranza senza falsi discorsi, senza tradire il Vangelo? Vi esorto a contemplare tutto ciò nell’adorazione, davanti a Gesù, che è stato migrante, che è dovuto fuggire con la sua famiglia, che è stato anche un rifugiato e, prima della sua morte, un prigioniero. In questa Pasqua non possiamo rimanere indifferenti davanti a nessuno; il nostro silenzio sarebbe complicità con l’ingiustizia. Carlo di FOUCAULD, per la sua amicizia con Gesù, – l’abbandonato nella croce, che ci cerca sulla sponda del lago, che vive nella baracca del più povero o nell’accampamento dei rifugiiati o a fianco del ferro spinato delle frontiere, o davanti al cartello “ proibito passare”, o “solamente per i soci” – ci presenta a Gesù risorto come grano che cade in terra e daà molto frutto.
Vi scrivo mentre sto accompagnando un’ammalata all’ospedale. Tutto mi parla di umanità; il sorriso e lo sguardo di tanta gente; i volti preoccupati di altre persone o il silenzio di chi nasconde il suo dolore e il silenzio di chi dorme. Vi condivido questo momento contemplativo come la Pasqua della gioia che vince il pianto, dei valori umani e cristiani che sono presenti in tanta gente e che dal silenzio e dalla feste del loro cuore, ci fa rinascere il sorriso, a credere che un altro mondo è possibile, che ogni persona è mio fratello o sorella, e che non c’è nessuno che possa far tacere gli amici di Gesù, che lo acclamano come Signore e compagno di strada, stia dove stia.
Un gran abbraccio pasquale con la gioia di essere il vostro piccolo fratello.
Aurelio SANZ BAEZA, fratello responsabile
Ospedale Rafael Méndez, Lorca, Murcia, Spagna,
29 marzo 2016, martedì dell’ Ottava di Pasqua
(Grazie, caro Mario, per la traduzione italiana)