Terapia intensiva. Aurelio SANZ BAEZA

Vivo. Il suono monotono del respiratore e delle macchine che mi controllano mi dicono che il mio cuore non si è fermato. Non so quando o come sono arrivato qui. Il mio orologio si è fermato nella mia mente. Ho smesso di vedere passare il tempo in quell’oggetto che mi colloca nel momento e che, ora, non mi serve più. I suoni della mia casa, del mio lavoro, della mia strada, del bar dove prendo un caffè o una birra, sono rimasti su un hard disk che non so se recupererò. Il virus ha reso tutto fuori controllo, mi ha portato via da coloro che amo. Ciò che mi arrivava attraverso i media su come stavano le persone che vivevano la mia stessa situazione, da lontano, è ciò che ora vivo. Come tante cose nella vita, pensi che a te non ti toccherà mai.

Mi rendo conto che ci sono persone che si prendono cura di me; Non li vedo bene, ed è come essere in un’astronave, dove si vedono solo gli occhi attraverso i loro occhiali di sicurezza e gli scherrmi che li proteggono da me, simile a quello che uso nel mio lavoro. Sono un pericolo, un pericolo che richiede la molta attenzione e, credo, molto affetto, anche se non mi hanno conosciuto prima. Non conosco i loro nomi, né la loro voce mi arriva chiara – anche sempre senza pretese – ed io non capisco cosa mi dicono. Lascio fare loro. Non posso muovermi e non voglio muovere nemmeno un dito. Continue Reading →