Come sacerdoti diocesani, condividiamo con tutta la Chiesa l’unica missione che le è propria: evangelizzare. Papa Francesco ci ha indicato delle linee guida molto chiare per farlo nella sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium. Facciamo nostri questi orientamenti e cerchiamo di ispirarci ad essi per la nostra azione di evangelizzazione nelle nostre parrocchie, comunità, centri di formazione cristiana, centri di assistenza per i più poveri, ecc.
Tuttavia, è bene porci la questione se noi, come sacerdoti della Fraternità IESUS CARITAS, possiamo evidenziare alcuni accenti particolari nati dal carisma di Charles e dalla nostra spiritualità. Noi pensiamo di sì, e qui ne sottolineiamo alcuni.
1. IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE
Il nostro modo di evangelizzare è segnato innanzitutto dal mistero dell’Incarnazione, mistero che ha affascinato fratel Charles e che è alla radice della sua spiritualità:
“L’incarnazione ha la sua fonte nella bontà di Dio… Ma una cosa appare innanzi tutto, così meravigliosa, così scintillante, così stupefacente, che brilla come un segno sfolgorante : è l’umiltà infinita che un tale mistero contiene: Dio, l’essere, l’infinito, il Creatore onnipotente, immenso, il sovrano padrone di tutto, che si fa uomo, che si unisce a un’anima e a un corpo umani e appare sulla terra come un uomo, e l’ultimo degli uomini ” (La vita nascosta, p. 47-48)
L’incarnazione avviene sempre in un particolare tempo, luogo e cultura. Fratel Charles si è immerso in un grande lavoro di conoscenza della cultura dei Tuareg, della loro lingua, dei loro costumi, della loro poesia, ecc. Vorremmo sempre tener conto del contesto storico, delle caratteristiche del tempo e della cultura in cui evangelizziamo, perché siamo convinti che Dio prolunghi la sua incarnazione in ogni epoca e che Cristo risorto continui a parlarci attraverso i segni dei tempi, per invitarci a costruire il suo Regno di Vita. Considerando il fatto che Cristo entra nel mondo dalla “porta dei poveri”, come ha detto Mons. Enrique Alvear, anche noi vorremmo entrare attraverso questa porta per compiere la nostra opera di evangelizzazione e, da lì, proclamare il Vangelo a tutti.
2. LE PERIFERIE.
In uno spirito di disponibilità verso i nostri vescovi, noi preferiremmo esercitare il ministero, prioritariamente, nelle realtà più abbandonate e più lontane dalla Chiesa. Periferie geografiche o esistenziali, come dice Papa Francesco. Sono luoghi di frontiera: popolazioni emarginate, zone remote, campi profughi, migranti, tossicodipendenti, privati della libertà, esclusi in generale. Questa prossimità ci permetterà di ascoltare e mescolarci al grido dei poveri, a volte molto flebile ma a volte molto forte. E usando mezzi poveri, fondamentalmente attraverso la nostra presenza amichevole e misericordiosa.
Fratel Charles ci dice:
“Quanto a me, cerco sempre l’ultimo degli ultimi posti, per essere piccolo quanto il mio Maestro, per essere con lui, per camminare dietro a lui, passo a passo da fedele domestico, fedele discepolo, e poiché nella sua bontà infinita e incomprensibile si degna permettermi di parlare così, da fedele fratello, da fedele sposa… ”(La vita nascosta, p.50).
“Questo divino banchetto, di cui io diventavo il ministro, dovevo presentarlo non ai congiunti, ai vicini ricchi, ma agli zoppi, ai ciechi, alle anime più abbandonate alle quali mancano sacerdoti… Ho sollecitato e ottenuto dal prefetto apostolico del Sahara il permesso di stabilirmi nel Sahara algerino”. (Lettera a Mons. Caron, 8 aprile 1905).
Se veniamo mandati in posti migliori, vorremmo operare per una maggiore sensibilizzazione sociale ed essere ponti tra i ricchi e le realtà dei poveri.
Siamo arrivati come amici e fratelli dei poveri. Scopriamo Dio già presente nelle loro grida e nelle loro aspirazioni. A nostra volta lasciamo che i poveri ci evangelizzino e arricchiscano il nostro ministero.
3. TESTIMONIANZA PERSONALE
Ovunque, ma soprattutto nei luoghi di emarginazione, vogliamo dare priorità all’evangelizzazione attraverso una testimonianza di vita piuttosto che attraverso i discorsi. Testimonianza segnata da vicinanza, semplicità, accoglienza, gentilezza, interesse per ciò che accade agli altri, servizio concreto, gioia interiore. Fratel Charles scriveva:
“Vuoi sapere cosa posso fare per i nativi. Non è possibile parlare loro direttamente di Nostro Signore. Li farebbe scappare. Bisogna creare un clima di fiducia, farseli amici, render loro dei piccoli servizi, dare loro dei buoni consigli, stringere amicizia con loro, esortarli con discrezione a seguire la religione naturale, mostrare loro che i cristiani li amano”. (Lettera a Madame de Bondy, 16 dicembre 1905).
Già nel suo ritiro del novembre 1897 aveva formulato il suo modo di evangelizzare con questa frase, posta sulla bocca di Gesù: “Adempite la vostra vocazione: quella di annunciare il Vangelo dai tetti, non con le parole, ma con la vostra vita “.
Questo non significa che mettiamo da parte il ministero della Parola. Sappiamo che è parte essenziale della nostra missione quella di risvegliare e nutrire la fede: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10, 17). Lo dice chiaramente il Concilio Vaticano II nel decreto su Il ministero e la vita sacerdotale: “In virtù della parola salvatrice, la fede si accende nei cuori dei non credenti e si nutre nei cuori dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti”.
4. LA NOSTRA SCELTA DELLA FRATERNITÀ
Con la nostra scelta per la Fraternità, privilegiamo il lavoro di gruppo con altri sacerdoti, siano essi o meno della nostra Fraternità, con religiosi, diaconi e laici. Vogliamo essere fratelli piuttosto che padroni, professori o autorità religiose, come dice il Concilio: “I sacerdoti vivono in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli”. Fratel Charles in questo senso ha anticipato il Concilio quando ricerca e promuove il lavoro con i laici:
“Accanto ai sacerdoti, occorrono delle Priscilla e degli Aquila, per vedere quello che il sacerdote non vede, per penetrare dove egli non può entrare, per avvicinare chi fugge da lui o gli è ostile per partito preso, per evangelizzare mediante un contatto benefico, con una carità che si espande su tutti, un affetto sempre pronto a donarsi, un buon esempio che attragga”. (Lettera a J. Hours, 3 maggio 1912).
Per lo stesso motivo, vogliamo investire tempo nella formazione dei laici, al loro accompagnamento spirituale e sostenere la formazione di comunità fraterne, rispettando il ritmo di ogni persona.
Crediamo nella fratellanza come stile di vita, una fratellanza universale, caratterizzata da amicizia, reciprocità e dialogo.
Allo stesso modo, la nostra scelta di fraternità ci porta a promuovere la partecipazione dei laici nella conduzione pastorale delle nostre parrocchie, evitando ogni forma di autoritarismo e clericalismo da parte nostra e ogni forma di passività da parte dei laici. L’esistenza dei consigli pastorali, dei consigli per gli affari economici, di équipe per animare le diverse realtà pastorali, di assemblee parrocchiali, di programmazione pastorale svolta insieme, ecc. dovrebbe essere il segno distintivo delle parrocchie o di altre strutture pastorali affidate alla nostra cura.
5. VITA SPIRITUALE ED EUCARISTIA
Questo modo di evangelizzare presuppone per ciascuno di noi una vita spirituale molto profonda che ci porti a contemplare Gesù nei Vangeli per essere configurati sempre più a Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo in noi. Entreremo, così, nella dinamica della “kenosis”, dell’abbandono, della donazione totale, propria del mistero dell’Incarnazione, lasciando molte cose per Lui e per la fedeltà al Vangelo: pregiudizi, beni materiali, prestigio, ricerca del potere, sicurezza, ecc. Tutto questo ci darà la libertà interiore per trovare nuove strade e nuovi spazi per la missione evangelizzatrice della Chiesa, cercando sempre la volontà del Padre, con infinita fiducia.
Il nostro dinamismo missionario, soprattutto per raggiungere e rimanere nei luoghi più difficili, è sostenuto dalla celebrazione dell’Eucaristia, dall’adorazione quotidiana e dagli altri mezzi per la crescita spirituale propri della nostra Fraternità. Ci aiutano a prendere coscienza dell’amore infinito di Dio per noi, della sua fedeltà e della sua misericordia e ci danno energia e creatività nella nostra missione.
L’Eucaristia deve diventare per noi uno stile di vita, caratterizzato dalla condivisione del pane, delle storie personali e della parola, anche con persone di altre tradizioni religiose.
Un’esperienza spirituale simile deve essere promossa tra i laici se vogliamo accompagnare le nostre parrocchie verso la dimensione missionaria desiderata da Papa Francesco: una Chiesa in cammino che, senza paura di essere ferita o sporcata dal fango della strada, va alla ricerca di chi è lontano e scartato dalla società.
L’Eucaristia, inoltre, ci fa sentire partecipi di un corpo ecclesiale sempre più vasto. Vogliamo crescere nella consapevolezza che l’evangelizzazione è una missione condivisa con tutta la Chiesa diocesana e universale. Come sacerdoti diocesani, vogliamo essere i primi a sentirci parte di un presbiterio, con a capo il suo Vescovo, sostenendo l’elaborazione e l’attuazione di progetti diocesani ai quali possiamo contribuire con i nostri carismi e sensibilità pastorali.
PER LA RIFLESSIONE E LA PREGHIERA PERSONALE.
- Aggiungereste qualche punto ulteriore a questo schema?
- La mia struttura pastorale (parrocchia, centro di formazione, ecc.) si sta evolvendo in questa direzione?
- Quali caratteristiche deve avere il nostro personale stile di vita per essere coerente con questo modo di evangelizzare?