TUTTO É GRAZIA. L’ultima lettera di Antoine CHATELARD

Tutto è grazia! Dobbiamo purtroppo accogliere il NATALE e il nuovo anno insieme al Covid 19. Edouard e Paul-Francois sono stati trovati positivi, Immanuel ed io negativi, ieri, lunedì sera, dopo la visita di una nipote di Edouard venuta da Parigi il 16/17 dicembre. Ci si organizza dunque davanti a una situazione nuova senza sapere bene ciò che i prossimi giorni ci riserveranno. Grazie per le vostre notizie e per gli auguri che mi giungono, quasi tutti, dopo un silenzio che si spiega con gli eventi di questo anno speciale, che mettono in difficoltà abitudini e relazioni normali. E’ anche un nuovo modo di rivivere la nostra storia attraverso gli anni che hanno lasciato tracce con le celebrazioni di personaggi storici che non avevano marcato la mia storia mentre vivevo lontano dalla Francia e senza quell’informazione che ora abbiamo a disposizione.

A quanti domandano delle mie occupazioni e del mio nuovo libro devo dire che esso sta presso l’editore, da più di un anno, e, per evidenti motivi commerciali, uscirà quando verrà annunciata la data della canonizzazione. Non parlerà che di Charles de Foucauld a Tamanrasset, iniziando dal periodo storico all’Asekrem dove soggiornò solo alcuni mesi, nel 1911, e che lascia aperte tante domande sulle sue vere motivazioni.

Seguirà un capitolo sulle sue occupazioni durante l’anno successivo (1912) a Tamanrasset, tipico del suo modo di vedere i problemi a livello mondiale. Il capitolo 3 si limiterà soltanto ai suoi passaggi programmati a Marsiglia nel 1913, con un giovane tuareg, di cui ancora non si è mai parlato, nemmeno nei libri più recenti. Infine, nell’ultimo capitolo, la sola giornata del 1/12/1913 a Tamanrasset ci permetterà di vederlo nel vivo delle sue diverse occupazioni mentre cerchiamo di seguire il suo orario rivisto e corretto.

Questa sarà appena una introduzione per altri soggetti che meritano un approfondimento e che ancora possono rivelarci una forma di santità che non sempre è evidente.

Apprendo ora che il nostro papa Francesco non si è accontentato di concludere la sua enciclica Tutti Fratelli parlando di lui ma che ha offerto una biografia del futuro santo ai membri dalla Curia romana, senza dire di che libro si tratta. Facendo menzione del nostro fratello Carlo, al termine di “Fratelli tutti”, il papa mi incoraggiava a proseguire il lavoro per mostrare più dettagliatamente come era stata la sua vita fraterna, negli ultimi anni della sua vita, con uomini e donne che egli amava non soltanto per un solo giorno ma ogni giorno. Sono centinaia le persone passate per il luogo che egli aveva chiamato” la fraternità “quando ancora sognava di accogliere discepoli mentre invece è sempre rimasto solo.

Nei primi anni annotava soltanto i nomi dei beneficiari delle sue elemosine e dei suoi piccoli doni, su fogli staccati che non si trovano nell’edizione dei quaderni. Questo non è senza importanza perché così ci fa conoscere centinaia di persone incontrate fin dai primi anni. Invece, durante gli ultimi tre anni ha annotato ogni giorno il loro nome e si può notare che alcuni si sono rivolti a lui centinaia di volte. Da queste cifre comprendiamo l’importanza delle visite ricevute, al di là di quelle che egli stesso andava a fare agli uni e agli altri. Lui che durante i primi anni non si allontanava dalla sua dimora più di un centinaio di metri, non esita a fare chilometri per recarsi a visitare chi è malato oppure per trovare qualcuno nella sua nuova abitazione o per vedere il suo giardino… E questo pur essendo molto occupato col lavoro linguistico, con i tempi di preghiera e con la gestione di una corrispondenza molto abbondante. Vorrei mostrare che egli non fa più niente per convertirli, anche se alcune volte ne parla ancora, ma si sente in dovere di occuparsi della loro salute come della sua, amandoli come sono e come Gesù li ama. E’ così che, nelle liste quotidiane dei suoi quaderni e nei rari scritti personali o in alcune lettere, si evidenzia la sua preoccupazione per la salute di ciascuno. Mi soffermo a contare queste persone, sorpreso di scoprire che molte di esse erano ancora vive quando sono arrivato a Tamanrasset e all’Asekrem nel ’55 e anche ben più tardi… Egli ha ancora qualcosa da dire alla nostra Chiesa e al mondo, sicuramente!, anche se non è qualcosa di nuovo. Il riconoscimento ufficiale e universale della sua santità sarà di incoraggiamento per tutti coloro che si riferiscono a lui in tutto il mondo e specialmente per i vescovi, i preti, i laici, le religiose e i religiosi che da lui si sono lasciati ispirare e che ora sono morti dopo aver fatto la loro parte nel mondo. Sarà soprattutto un appello per i giovani che, di questo testimone d’un altro secolo, non si interessavano più.

Sì, grazie a Francesco, il nostro papa. Egli avrebbe potuto terminare l’enciclica citando ancora Francesco di Assisi e invece ci ha parlato di Charles quasi volesse conferirgli un ruolo importante per l’avvenire della Chiesa e del mondo, dopo la pandemia universale che ritarda la sua canonizzazione. Del nostro beato non si è mai parlato così tanto come, in questi ultimi tempi, in occasione della morte di Monsignor Teissier, avvenuta il giorno stesso della sua festa liturgica. L’ambasciatore dell’Algeria in Francia si è espresso con un linguaggio profetico, parlando di lui come di un santo e soprattutto di un compatriota. La canonizzazione non aggiungerà granchè alle cerimonie di Lyon e di Notre Dame d’Afrique (Algeri). Molti avevano potuto vedere la rivista “In Dialogo” n°14, su Charles de Foucauld e i musulmani, uscito proprio prima di questi eventi.

Devo riconoscere che l’invecchiamento non migliora le mie possibilità di spostamento anche all’interno e, nonostante le sedute di fisioterapia, all’esterno. Questo mi occupa più del mio lavoro su Foucauld e la prospettiva tanto lontana di vedere uscire il mio libro non mi incoraggia a lavorare, anche se delle domande pervenutemi da ogni dove, compresa Tamanrasset e altre parti dell’Algeria, mi obbligano a rispondere su dettagli che non mi allontanano dalla sua storia.

A tutti un buon natale e un 2021 migliore.
Antoine

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Lettera di Pentecoste 2020, Eric LOZADA

“Vieni, Santo Spirito nei nostri cuori e manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima,… invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli, lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato” ( da Vieni Santo Spirito).

Amati fratelli,
con una più grande intimità e attenzione, faccio con voi questa preghiera allo Spirito. Il Corona virus ci ha costretti a fermarci e a guardare in profondità per comprendere quello che è accaduto sul piano locale e mondiale e che ci ha condotto là dove siamo ora affinché lo Spirito possa condurci verso nuovi e creativi cammini. La pandemia ci insegna che il nostro mondo ha bisogno di essere rinnovato se non vogliamo perire tutti. La nostra considerazione per ogni persona umana, per i nostri modelli di vita familiare, per le comunità vicine, per le scuole, le chiese, le religioni, la politica, l’economia, la tecnologia, i social media, la nostra cura per la Madre Terra, tutto ciò deve fondarsi su principi più universali e inclusivi, equi, meno discriminatori e contraddittori per poter progredire nuovamente nella civiltà dell’amore e della vita.

Accogliamo nuovamente lo Spirito a Pentecoste ma non dimentichiamo che lo Spirito è là dall’in-principio della Genesi (cfr Gn 1, 2). Il movimento dello Spirito è sempre stato quello di ricondurre all’ordine il caos, di donare la vita, di condurci a tutta la verità, di insegnarci tutto ciò che dobbiamo sapere (Gv 16, 13). Ma lo stesso Spirito soffia dappertutto dove vuole e non possiamo dire da dove viene e dove va (Gv 3, 8). La nostra teologia, la nostra riflessione e la nostra programmazione non possono prevedere né ostacolare il cammino dello Spirito. Ci sorprende sempre, allargando la nostra visione e liberando sempre più i nostri cuori da tutto ciò che ostruisce affinché siamo liberi per Dio nel nostro mondo. Proprio come non possiamo vedere l’aria, il silenzio, lo Spirito Santo rinnova il nostro mondo in un modo che sorpassa la nostra visione. Noi dobbiamo semplicemente stare alla sua Presenza in ogni momento.

Il nostro mondo, compresa la nostra Madre Terra, è nelle doglie del parto di quello che sarà il futuro dopo la pandemia. La grande mistica, Julienne de Norwich, nella sua tredicesima rivelazione, dice: “Tutto andrà bene e tutte le cose andranno bene”. Spiegò che ciò significava essere gioiosi in ogni circostanza, anche in quelle sfavorevoli, perché alla fine Cristo ricapitolerà tutte le cose. Dobbiamo stare attenti a come accogliamo questo messaggio. Questo significa che noi incrociamo le braccia e lasciamo fare tutto a Dio? E’ una specie di teologia dolce che promette la manna dal cielo in mezzo alle nostre sofferenze?

La pandemia ci insegna la speranza. La speranza è la nostra capacità di mettere il futuro nelle mani del Dio dell’amore. La speranza non è qualcosa di molle; è una lotta per sperare. Lottiamo perché sembra che il male, la tirannia, la violenza, la paura, la morte dominano più della bontà, della pace, dell’unità, dell’amore, della vita. La risposta di Dio al male è nascosta nel Cristo risorto. Egli non ha mai salvato suo Figlio dal crogiolo della sofferenza, ma alla fine lo ha giustificato con una nuova vita dopo che egli ha attraversato l’impotenza, la paura, la violenza, la morte. Alla fine Dio ci giustificherà e mostrerà al mondo e a tutti i suoi sistemi quanto fosse sbagliato in tanti suoi modi di essere (Gv 16, 8). Ma dobbiamo prendere una decisione. Di fronte al male e alla sofferenza, lasceremo che la paura, la disperazione, l’indifferenza, l’amarezza, la collera, la delusione prendano il sopravvento nel nostro cuore o saremo più aperti, reattivi, pieni d’amore, di perdono, di vita? Lo Spirito rinnova il nostro mondo e tutta la creazione in maniera più paziente, dolce e umile. Noi siamo invitati a non opporci al suo cammino ma a seguire il piano di Dio per il nostro mondo.

Allora, che dobbiamo fare? Quali sono le possibilità e le sfide che ci vengono date e che dobbiamo affrontare con rinnovato coraggio e speranza? Qualcuno ebbe a dire: “Oggi non abbiamo bisogno di grandi uomini con cuori piccoli, ma di piccoli uomini con cuori grandi, perché solo i piccoli e i più piccoli possono passare attraverso la cruna di un ago”. Piccoli atti di bontà realizzati con cuori debordanti di devozione. Oggi, il nostro nuovo principio è la necessità di tornare ai fondamenti della vita secondo il Vangelo, le opere di misericordia corporali e spirituali. Il nostro fratello Charles ci ha lasciato una spiritualità – imitare Gesù a Nazaret, cercare l’ultimo posto, vivere con semplicità, compiere l’apostolato della bontà con una persona alla volta, essere un fratello e un amico per ogni persona, senza distinzioni di colore, di credenza, di status, essere prossimo dei poveri. Papa Francesco ci esorta ad andare verso le periferie, ad essere i testimoni della gioia del Vangelo, a proteggere i minori e gli adulti vulnerabili, ad impegnarci in una formazione permanente, a proteggere la nostra Madre Terra, la nostra casa comune. Dobbiamo ugualmente tornare ai fondamenti della nostra spiritualità con un nuovo entusiasmo – adorazione quotidiana, meditazione quotidiana del Vangelo, revisione di vita, giornata mensile di deserto, incontro di fraternità. Rinnoviamo la nostra fedeltà alla pratica non per crescere nella perfezione ma per assumerci una maggiore responsabilità per il dono ricevuto e lasciare che i frutti fluiscano verso gli altri all’infinito finché Dio sia glorificato nelle loro vite.

Fratelli, in questo periodo di pandemia, riceviamo un dono speciale dalla nostra Madre Chiesa – il decreto della santità di frère Charles. Con gli altri membri della famiglia spirituale, compresi quelli che si sono ispirati a fratel Charles ma non sono membri “canonizzati” della famiglia spirituale, ringraziamo lo Spirito per questo dono. Speriamo e preghiamo perché la vita, il messaggio, l’intuizione e l’eredità di fratel Charles siano resi più disponibili e possano essere fonte d’ispirazione per molte persone, come lo Spirito vuole. Per noi stessi, preghiamo per un maggiore impegno a testimoniare nelle nostre vite e nel nostro ministero ciò per cui fratel Charles ha vissuto.

Termino la mia lettera con la Colletta della messa di oggi – “Padre, santifica la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo”.

Grazie tante. Continuiamo a portarci l’un l’altro e il nostro mondo nella preghiera. Grazie di pregare anche per me.

Vostro fratello e servitore responsabile,

Eric LOZADA
Filippine, 21 maggio 2020

PDF: Lettera di Pentecoste del responsabile generale ai fratelli, Eric LOZADA, Pentec.2020, it

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Lettera di pasqua 2020 ai fratelli di tutto il mondo. Eric LOZADA

Filippine, 12 aprile 2020

Sono risorto e sono ancora con te, Alleluia. (cfr Sal 139, 18)

Fratelli amati,

vi scrivo dal mio eremo proprio come molti di voi in quarantena. Questa clausura imposta è un invito eccellente per l’adorazione quotidiana, la meditazione evangelica, la giornata del deserto, la revisione della vita, la preghiera per il mondo, specialmente per i poveri, con fedeltà, intensità e raccoglimento. Una vita di qualità di solitudine e preghiera è il nostro umile atto di carità verso il nostro mondo in pandemia.

Guardando attraverso la mia finestra, sto vedendo segni di nuova vita dalla natura. È secco e umido qui, ma gli uccelli giocano e cantano il loro unico repertorio di canzoni, farfalle che volano delicatamente da un fiore all’altro alla ricerca di nettare, gli alberi sono verdi e danno ombra nonostante il caldo pungente. Meraviglioso come la natura abbia il suo modo di annunciare la risurrezione. Nessuna preoccupazione, abbandono completo a Dio che si prende cura di loro. Noi, esseri umani, dovremmo essere una razza superiore a causa della nostra ragione, ma la stessa ha sistematicamente eliminato la fiducia in Dio nel giorno per giorno e contiamo di più sul nostro pensiero egoistico. Questo stesso pensiero è stato causa di violenza, odio e sfiducia. La risurrezione ci offre perdono, amore e fiducia. Il mondo deve scegliere.

Siamo in quarantena di comunità raforzata fino al 3 maggio, ma ai sacerdoti vengono concessi i pass di accesso per opere liturgiche e di beneficenza. Lo uso ogni giorno per visitare persone dove sono invitato ad accompagnare i morti e le famiglie in lutto, a facilitare il dialogo nelle famiglie, a dare cibo e denaro a coloro che sono stati licenziati dal lavoro. Qualcuno mi ha spinto a stare con le persone nella loro impotenza soprattutto perché non potevano andare in chiesa e pregare. La Presenza rappresentata nella mia persona è un balsamo rassicurante di conforto per loro. Sono stato molto attento anche se ho seguito i protocolli di igiene e distanziamento per non causare ulteriori danni alla comunità. Stamattina, il mio amico Lemuel è venuto all’eremo molto affamato, di aspetto stravagante, chiedendo da mangiare per i suoi 4 bambini affamati. Lemuel è stato licenziato dal lavoro. Consegnandogli dei viveri, sono benedetto dalla sua gioia, ma avverto anche l’incertezza nei suoi occhi.

Dopo la preghiera di questa mattina, guardo a lungo amorevolmente la mappa appesa al mio muro. I miei occhi sono fissi nei quattro continenti : Africa, Europa, Asia, America. Il virus è davvero un grande equalizzatore per i paesi ricchi e poveri che soffrono della stessa sorte. Vedo volti di medici, infermieri, pazienti e le loro famiglie, preoccupati, impauriti eppure in lotta per la vita. (Mentre scrivo, vengo informato che mia sorella che lavora come infermiera negli Stati Uniti è COVID positiva. La sua famiglia è ora a rischio).

Il mondo sta subendo la sua passione. Vedo facce di impotenza, preoccupazione, paura, tristezza, odio, violenza ovunque in molteplici travestimenti. E mi chiedo : qual è il messaggio di Cristo risorto al nostro mondo oggi? Cosa ci invita Dio a vedere? Dove ci sta portando? La Resurrezione significa che ci salverà da tutti questi? Qual è la risposta di Dio al suo popolo in pandemia? Come si può ascoltare il dolce messaggio della Resurrezione tra le notizie prepotenti di morte, sofferenza, conflitto? Dov’è la strada della speranza e della nuova vita in questo nostro momento difficile?

Fratelli, per favore, soffrite con me queste domande. Ho bisogno di te, abbiamo bisogno l’uno dell’altro, la gente ha bisogno di noi. La risurrezione non è una gioia poco costosa né usa parole dolci per salvarci dalla nostra sofferenza. Dobbiamo distendere le orecchie e allargare i nostri cuori per ascoltare il Messaggio. Lottiamo con Dio per le risposte, anche se la sua risposta è nascosta nel Suo silenzio. Trovo la lettura del racconto della Resurrezione secondo Giovanni, quest’anno un Kairos. Alcuni dettagli di Giovanni potrebbero aiutarci a vedere e ascoltare il Messaggio. Dato che non ho studiato l’ermeneutica biblica così bene, mi affido a una riflessione orante del testo. Per favore sii generoso se sembra ingenuo.

Vorrei solo sottolineare 3 cose. In primo luogo, Giovanni parla della risurrezione come avvenuta “il primo giorno della settimana, mentre era buio” (Gv 20, 1a). La risurrezione esplode dalle fondamenta stesse della nostra umanità e del mondo, nell’oscurità dell’inconsapevolezza. Questo ci ricorda la Genesi quando il mondo era oscuro e senza forma e lo Spirito si aleggiava sulle acque scure. Quindi Dio disse: “Sia la luce e la luce fu” (Gn 1, 2-3).

Oggi il mondo è nell’oscurità della pandemia. Il futuro sembra persino più oscuro per molti. Come si riprenderanno le imprese, il governo e le persone? La nostra pianificazione strategica, previsioni ottimistiche, si troverà la cura e la luce sufficiente per darci un futuro luminoso? Nel mezzo dell’oscurità totale, dove le fondamenta del mondo sembrano essere scosse, Cristo, la luce, esplode. Possiamo vedere? Vedere non deriva dalla nostra logica umana poiché la stessa è facilmente sconfitta dalle tenebre. La luce viene da Cristo risorto. Dio ci salverà da questo male? Niente affatto: per il male fa quello che fa. Dio salva. Alla fine egli rafforza la virtù, la bontà, la fedeltà mentre attraversiamo il male e la sofferenza proprio come ha fatto a Gesù. Alla fine sono Dio e Cristo risorto ad avere il controllo e non il male e la morte. Questo è il nostro credo. Dobbiamo semplicemente fidarci della sua verità e viverla nella vita di tutti i giorni.

Secondo, Giovanni sottolinea che Maria di Magdala vide per la prima volta la tomba aperta (Gv 20, 1b). Era triste perché non riusciva ancora a collegare la tomba aperta con la Risurrezione. Fu solo dopo aver pianto che vide il Risorto (cf. Gv 20, 11 ss). Questo è un invito per noi a vedere la nostra realtà attraverso la delicata lente del femminile, nella tristezza e nelle lacrime. Entrambi preparano il cuore per il vero vedere. Ci sono molte cose della nostra realtà per le quali siamo tristi oggi. Siamo in lacrime perché, in un modo o nell’altro, facciamo parte di questo mondo ferito, rotto e violento e, in molti modi, abbiamo contribuito alla sua violenza e ferita.

Infine, Maria riferì a Pietro e Giovanni ciò che vide. Pietro e Giovanni lo videro da soli. Pietro vide. Giovanni vide e credette. Non hanno ancora capito il significato della risurrezione (cfr Gv 20, 2-9). Questo dettaglio ci insegna che per sperimentare una nuova vita, dobbiamo raggiungerci e camminare insieme come una comunità di cercatori di verità. La nostra realtà è una visione condivisa e nessuno monopolizza il tutto o assolutizza la sua parte del tutto. Ognuno contribuisce. Ognuno crede che l’altro abbia qualcosa da offrire. La verità ci rende umili perché invece di possederla, essa ci possiede. È sempre oltre noi. Quindi, abbiamo bisogno del contributo reciproco. La verità è un dono gratuito rivelato a una vivace comunità di pellegrini che cerca con speranza. Triste a dirsi, nel nostro mondo postmoderno, il potere è sbagliatamente scambiato per verità. Quindi, uno diventa arrogante dalla sua parte e assolutizza la sua parte come tutta la verità. Questa è la stessa mentalità che crea guerra e violenza. La risurrezione offre pace e perdono. Dobbiamo scegliere.

Fratelli, continuiamo a condividere la nostra ricerca della verità nel Signore risorto oggi, sia nella solitudine della nostra preghiera che nei nostri impegni fraterni e missionari. Fratello Carlo ci sta mostrando il cammino e sta anche camminando con noi, nel nostro desiderio di seguire Gesù di Nazaret, di essere un fratello per tutti, di vivere Nazaret, di essere presente ai poveri, di revisare la nostra vita, di gridare il Vangelo con la nostra vita, sentire come le pecore nella nostra missione alle periferie, vivere il Vangelo ancor prima di predicarlo. Questa è la nostra spiritualità come sacerdoti diocesani sulle orme di Fra Carlo. Questo è anche il nostro dono al nostro mondo e alla nostra Chiesa oggi. Come regalo, è immeritato, ma dobbiamo regolare costantemente il dono attraverso la pratica. Qui, siamo tutti principianti e compagni di lotta, ma insieme, ci incoraggiamo l’un l’altro a continuare a tornare alla nostra pratica.

La mia umile preghiera per ognuno di voi. Per favore, pregate anche per me.

Eric LOZADA

PDF: Lettera pasquale 2020, Eric LOZADA, it

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Lettera di Eric. Il nostro fratello Mariano PUGA

16 marzo 2020

«Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi,
non guarderò più nessuno fra gli abitanti del mondo.
La mia dimora è stata divelta e gettata lontano da me,
come una tenda di pastori.
Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi hai tagliato dalla trama.
Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo.” (Is 38, 11-12)

“C’è una buona morte. Siamo responsabili del modo in cui moriamo.
Dobbiamo scegliere tra aggrapparci alla vita in modo tale che la morte
non diventi nient’altro che un fallimento, o lasciare la vita libera in modo da
poter essere consegnati agli altri come fonte di speranza”
(Henri Nouwen, La vita dell’ amato).

Cari Fratelli,

sentendo profondamente tanta gratitudine per il dono e tristezza per la perdita, vi annuncio la morte del nostro grande fratello, caro amico e icona vivente della nostra fraternità, MARIANO PUGA CONCHA di Santiago in Chile. E’ deceduto il 14 marzo 2020, all’età di 88 anni per un cancro linfatico.

Cosentitemi di onorare la fratellanza dell’anima che abbiamo avuto con Mariano nelle seguenti linee.

Il mio primo incontro con lui è stato all’Assemblea Generale del Cairo nel 2000. Prima della sua elezione a Direttore Generale, la sua presenza nell’assemblea è stata come un virus che ci contagiava con gioia e risate con il suo canto delizioso accompagnato da una fisarmonica. Non sapevo che quelle canzoni provenivano dai bassifondi di Santiago; molto gioviale, sicuro e mai depresso. Era como un trovatore che cantava con i polmoni ed il cuore i sogni e le aspirazioni della sua gente di Santiago. Il suo spirito impetuoso e la sua musica piena di gioia mi hanno affascinato.

Il mio secondo incontro è stato negli Stati Uniti nel 2002. Stava visitando la fraternità negli Usa, mentre ero nel mio anno sabbatico. Il defunto Howard Caulkins, un altro caro amico, mi propose che, se fossi andato con lui all’Assemblea nel Minnesota, mi avrebbe portato all’Abbazzia di Mepkin dove avrei trascorso il mio anno sabbatico come ospite del monastero. In effetti, abbiamo viaggiato insieme e li ho incontrato di nuovo Mariano. Fu molto facile riconnetterci, anima con anima, in un modo profondamente personale e intimo. Condividevo con lui la mia crisi con la Chiesa, con i miei personali demoni e con Dio e noni mi sono mai sentito così ascoltato. Mi ha semplicemente abbracciato forte, come un fratello maggiore che conforta il fratello minore, con le lacrime agli occhi, sentendo il mio dolore. Poi mi sorrise dicendomi con parole dolci “andrà tutto bene”. Ci siamo separati con la promessa di ricordarci nella preghiera, io per l’Abbazia e lui per Tammanraset.

Il mio ultimo incontro con Mariano è stato l’anno scorso a Cebu durante l’Assemblea Generale. Coi suoi 88 anni, viaggiare per il mondo, gli costò caro. Venne ricoverato due volte ed in entrambe le occasioni sono stato con lui. La sua saggezza mi chiamava ad uscire dal fondo delle mie ragioni e condividere testimonianze personali. Facilmente ci reconnettemmo, come fratelli, apprezzando ciascuna delle nostre storie, al pronto soccorso (dove rimase per 5 ore), poi all’interno della sua stanza (a cui ha resistito con veemenza perchè voleva stare nella sala comune insieme ai poveri), fino a molto tardi. Poi con un sorriso in volto, mi susurrò: “l’ Assemblea è terminata ed ora potrei tornare a casa”. Sono tornato a casa quella notte, molto umiliato però anche molto arricchito da questo commovente scambio, la nostra recensione di vita, che per Mariano è al centro di qualunque assemblea di fretelli.

Vorrei anche condividere alcune righe che Fernando Tapia mi ha scritto su Mariano: “Mariano era un appassionato cercatore di Dio e un amante di Gesù di Nazareth. Il suo incontro con lui attraverso i poveri di una discarica ha cambiato la sua vita per sempre. Lasciò tutto ed entrò nel Seminario. Qui trovò Charles de Foucauld e seguì la sua spiritualità fino alla fine della sua vita. Era un padre spirituale e formatore al Seminario di Santiago. Successivamente divenne prete operaio per oltre 30 anni, condividendo la vita dei poveri. Ha sempre vissuto in mezzo a loro. Era il loro pastore, il loro difensore durante il periodo della dittatura militare di Pinochet, subendo 7 volte la prigionia. Ha promosso una Chiesa impegnata per i poveri. Ha predicato molti ritiri in Cile e fuori dal Cile. Era un uomo di preghiera, felice, vicino a tutti, un amico di credenti e non credenti, un missionario alla periferia della società cilena, seguendo le orme di Fratello Carlos. Il Vangelo era la sua guida, che voleva urlare con la sua stessa vita “.

Mariano, fratello, amico, grazie mille. Grazie per la tua folle testimonianza di un pazzo Dio in Gesù di Nazareth. Condivido la gratitudine e il dolore dei poveri di Santiago, che hai toccato con la tua testimonianza. Possa Gesù, il Buon Pastore, accoglierti per sempre nella tua nuova casa, quella che Lui prepara per coloro che sono fedeli.

Fratelli, prego con Mariano affinchè, nelle nostre riunioni e assemblee, continuiamo a rischiare di condividere reciprocamente la nostra povertà e vulnerabilità. È la nostra povertà che ci unisce, ci qualifica e ci libera come fratelli nella fraternità. È anche il trampolino di lancio per la nostra missione tra i poveri, come abbiamo detto a Cebu. Cerchiamo anche di essere la nostra umile ma ferma risoluzione di condividere la vita missionaria di Gesù di Nazaret con i poveri, seguendo le orme di Fratello Carlo.

Con abbraccio fraterno,
Eric LOZADA

(Traduzione di Franceso TAIOLI)

PDF: Lettera di Eric. Il nostro fratello Mariano PUGA, it

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Lettera di Natale del Responsabile Generale ai fratelli del mondo, 1 gennaio 2020

< Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio…> (Isaia 9, 5)

Amati fratelli,

Mi dispiace molto che questa lettera di Natale vi giunga come messaggio di Capodanno.

E’ solo perché nella nostra diocesi attualmente mi viene chiesto di svolgere alcuni servizi particolari che mi portano spesso a perdere il mio equilibrio. Nel combattere il male e tutte le sue complesse sfumature che distruggono le persone, le relazioni e le istituzioni come la Chiesa, ho lottato molte volte per mettermi nelle mani di un Dio amorevole per ottenere luce, pace interiore e amore. Ma a volte mi sento triste, arrabbiato e impotente. Quindi eccomi qui, per grazia di Dio, meglio tardi che mai. Permettetemi di abbracciarvi con calore e gioia insieme alle vostre fraternità locali, diocesane, nazionali e continentali. Sebbene molti di voi siano ancora senza volto per me, continuo a sussurrare ognuno dei vostri nomi davanti al Beneamato. (Grazie al nostro annuario, che tuttavia ha bisogno di essere aggiornato). L’anno scorso ho avuto il privilegio di incontrare i fratelli di Haiti, della Repubblica Domenicana, del sud-est degli Stati Uniti, della Corea del Sud e di Myanmar. In particolare, l’incontro ad Haiti della Famiglia Spirituale di Charles de Foucauld lo scoro aprile ha approfondito ed ampliato la mia conoscenza della Spiritualità e della Tradizione. Grazie, sorelle e fratelli per l’accoglienza e l’ospitalità, gli scambi fraterni e l’umile testimonianza.

Vorrei iniziare con la prima domanda che Yahvé ha posto ad Adamo nella Genesi: “Dove sei?”. Pongo periodicamente questa domanda proprio per verificare quanto sono radicato nella mia realtà. Propriamente la realtà non è la mia, ma la realtà di Dio in me e nel mondo e quanto mi sento libero o forzato a rispondervi. Adamo non era libero, ma era spaventato dalla sua nudità, che lo spingeva a nascondersi da Dio, sentendosi colpevole del suo peccato. A sua insaputa, ha agito a partire da una distorsione che lo allontanava da Dio e dalla sua verità. Da Adamo è nata tutta una umanità “incrinata”. Tuttavia, il profeta Isaia profetizzò la venuta del nuovo Adamo: “un germoglio spunterà dal troco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore…” (Isaia 11, 1-2). C’è una nuova umanità che nasce da un albero tagliato alle sue radici – una umanità che non è presa in ostaggio dal male ma “divinizzata”, riportata alla sua bontà originale. La crepa è ancora là non più come un blocco, ma come l’unica apertura perché vi entri il flusso della grazia di Dio. E così, preghiamo: “O Dio… concedici di poter condividere la divinità di Cristo, che si è umiliato per condividere la nostra umanità” (Colletta di Natale).

Papa Francesco ci ha condotti a guardare di nuovo al presepe con la sua lettera apostolica, Admirabilis Signum. Il segno più ammirabile è che un umile Dio bambino si è consegnato nelle mani di una umanità infranta. Mentre la maggior parte dell’umanità non era pronta, i pastori, gli animali, la mangiatoia erano pronti. Essi rappresentano l’umanità che riceve Dio nella sua più umile povertà, nella sua fragilità, nella sua imperfezione, nella sua “contaminazione” e da questa atto radicale di donazione di sé, noi diventiamo ciò che riceviamo. E’ una pura iniziativa divina. La “mangiatoia dei nostri cuori, indurita e lacerata dal male in tutte le sue forme, sia strutturali che personali, quando è offerta a Dio, diventa uno spazio umile ma profetico di incontro, dialogo, guarigione e ospitalità dei tanti volti nei quali prende forma oggi l’Emmanuele.

Lasciatemi mettere in risalto fratel Carlo, la sua vita selvaggia, il suo comportamento eccessivo, la sua energia irrequieta, le sue lettere appassionate. Ha trascorso tutta la sua vita cercando di radicarsi nel Mistero dell’Incarnazione. “Signore, se esisti, fa’ che ti conosca”. Era il suo grido per una conoscenza di Dio per esperienza. Ha lottato col Mistero. E Dio, con dolcezza e pazienza, lo condusse a una risposta “liberata” all’amore di Dio che perdona. “Ora che so che esiste un Dio, non poso che donargli tutta la mia vita”. Un radicamento sempre più profondo nel Mistero gli ha fatto dire queste parole: “Il mio cammino è cercare il posto più basso, essere piccolo come il mio Maestro, camminare con lui passo dopo passo come un discepolo fedele”. La mia vita consiste nel vivere con il mio Dio che ha vissuto in questo modo tutta la sua vita e mi ha dato un tale esempio fin dalla sua nascita” Gesù non fece altro che scendere e questo ha segnato in maniera permanente Frére Charles. La radicale piccolezza di Dio nell’Incarnazione ha portato frutti in una vita che sempre di più si è immersa nell’umiltà radicale di Dio a Nazareth. Da Betlemme a Nazareth, due misteri fondamentali di Dio vengono rivelati nella vita di Gesù e quando lo comprendiamo, sulle tracce di fratel Carlo, le nostre vite, il nostro modo di compiere la missione come preti diocesani e di vedere il mondo viene cambiato per sempre.

Vorrei invitarvi a prendere in considerazione davanti al Mistero le realtà complesse delle nostre fraternità locali, nazionali, regionali e internazionali, delle nostre diocesi, della nostra Chiesa e del nostro mondo. Ne abbiamo già viste alcune a Cebu, ma è necessario vederle con occhi nuovi e rispondervi con nuovo entusiasmo e nuove speranze. Il Dio umile e senza pretese di Nazareth potrebbe avere delle sottili sollecitazioni per noi in queste realtà.

Durante l’incontro di una ventina di membri dell’Associazione in aprile, abbiamo appreso che Haiti era un paese povero ma ricco di fede. I nostri Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle dell’Incarnazione sono una presenza molto profetica e concreta nella vita degli Haitiani nell’ agricoltura, l’istruzione, i programmi di sussistenza, i servizi sociali. Eppure la corruzione nel sistema politico fa sprofondare il paese in un oscuro tunnel di povertà, incertezza e disordini. (Al momento la situazione sta peggiorando). I Padri Jonas Cenor e Charles Louis Jean, anziani piccoli fratelli dell’Incarnazione hanno avviato la fraternità con tre fratelli nel 2015. P. Fernando Tapia li ha incontrati e li ha invitati alla Riunione Panamericana nel 2017. Con visite occasionali di Padre Abraham Apolinario, provano ad incontrarsi con regolarità. Il problema non è solo la distanza, ma soprattutto il clima politico che rende i viaggi pericolosi. A cosa ci invita Dio?

La nostra adesione all’Associazione è un dono. Sono impressionato dal modo in cui fratel Carlo ha ispirato tanti carismi e opere missionarie nella Chiesa e altri continuano a nascere. Tuttavia, non possiamo ignorare le tensioni che questa diversità comporta. Queste tensioni, comunque, possono essere stimolanti se considerate nella più vasta agenda del Regno. Siamo tutti invitati a bere incessantemente al medesimo Spirito in modo da poter camminare tutti insieme in armonia. Tuttavia, l’Associazione chiede un impegno più attivo da parte nostra in termini di corrispondenza e partecipazione agli incontri. Personalmente ho qualche problema con la lingua francese e perciò ho chiesto a P. Matthias Keil di rappresentarci.

La fraternità di Santo Domingo e di Santiago è molto vivace ma sta invecchiando. La presenza e la testimonianza di vita di Rafael Felipe, membro pioniere e vescovo in pensione, sono come un faro per il clero e i seminaristi della diocesi di Beni. Egli presenta la fraternità ai seminaristi e predica alcuni ritiri di preti sulla Fraternità. P. Lorenzo, un prete molto dinamico di una piccola parrocchia, vive in una comunità semi-monastica di preti, suore e seminaristi. P. Angel Marcano, tuttavia, pone una domanda che attende sempre risposte: perché, dopo trent’anni, non siamo cresciuti? Dove ci invita Dio?

Ho avuto il privilegio di partecipare al 40° compleanno di Padre Reagan a Toybee Island, in Georgia, negli Stati Uniti, a maggio. La sua canonica è una casa di fraternità dove i preti possono venire a passare la notte. Ogni mese, egli guida per due ore fino ad Augusta per incontrare i fratelli, tra cui P. Peter Clarke che ha già 91 anni. Cominciano con l’adorazione, segue quindi la revisione di vita e terminano con un’agape. I loro incontri sono così regolari e intimi che quando un fratello decide di andarsene, la fraternità si indebolisce. Senza nuovi membri, la fraternità è ancora più vulnerabile.

La fraternità nella Corea del Sud è giovane e dinamica. Padre Paul, che ha vissuto a Tamanrasset per un certo tempo, ha dato inizio alla fraternità nel 1994 con Padre Philip Yoon e fu raggiunto da alcuni giovani preti. Il Cristianesimo in Corea è davvero unico perché riposa sul fondamento del sangue di migliaia di martiri che sono per lo più laici. I fratelli contribuiscono con il loro denaro personale alla costruzione di una casa dove potranno riunirsi per il loro incontro mensile. Come molti, fanno fatica con la giornata di deserto, la revisione di vita e l’inglese.

Quando vedo i Padri Eugene e Matthew e come essi vivono, posso dire che la fraternità in Myanmar ha un volto ascetico. La religione buddista che è maggioritaria è evidenziata dalla presenza di pagode ovunque e calzare pantofole (senza scarpe) rende la vita naturalmente semplice in Myanmar. Ho avuto occasione di chiedere a un sacerdote non-JC la sua opinione sulla fraternità, e la sua risposta mi ha preoccupato. “Non posso essere onesto con la mia risposta davanti a loro”. Qual è il volto “dissimulato” della fraternità? A cosa Dio ci invita? I fratelli, comunque, fanno fatica ad incontrarsi con regolarità e la stessa fatica si evidenzia per la giornata di deserto e la revisione di vita.

Il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero a Roma, mi ha scritto una lettera tramite Padre Aurelio esprimendoci la sua profonda vicinanza. Ci ha augurato di “vivere ancora una volta e con gioia la nostra missione secondo i principi guida” del Santo Padre. Tuttavia, ha sottolineato alcune sfide concrete: prendere sul serio il mese di Nazareth; la nostra fedeltà ai mezzi per la crescita spirituale “ad intra” è una condizione necessaria per una missione autentica “ad extra”; la nostra uscita verso le periferie deve essere accompagnata dalla nostra continua conversione per portare frutto. L’equipe internazionale ha ottenuto di incontrare il cardinale a Roma nel luglio di quest’anno.

Durante il nostro incontro di equipe nello scorso ottobre, noi, vostri fratelli dell’equipe internazionale, abbiamo individuato un importante percorso da intraprendere. Vogliamo formare un gruppo di sacerdoti itineranti che presenteranno la Settimana della Fraternità (sul modello del Brasile) ai seminaristi del quarto anno di teologia, ai giovani preti e magari proporla come ritiro annuale per i sacerdoti. Scriveremo agli Ordinari locali e daremo inizio a questa avventura in Asia.

Infine, la mia gratitudine per la perspicacia finanziaria e il duro lavoro dei nostri due Matthias – P Matthias Keil austriaco, nostro tesoriere generale e P. Matthias Fobbe tedesco, nostro consulente finanziario.

Ecco il nuovo numero di conto. Grazie per i vostri contributi alla cassa internazionale:

Pax-Bank, Deutschland / Allemagne
Titulaire /Beneficary/ Empfanger: Priestergemeinshaft Jesus Caritas International
IBAN: DE 84370601930011768008
BIC/SWIFT GENODED1PAX

Per quanto concerne le finanze l’equipe internazionale ha convenuto che i fratelli che hanno bisogno di un aiuto per partecipare al mese o agli incontri all’estero devono prima di tutto essere sostenuti dalle fraternità locali e nazionali e successivamente potrebbe essere richiesto un aiuto al fondo internazionale dopo una consultazione specifica dei responsabili continentali. Si tratta di porre fine ad una sotto-culture del diritto a utilizzare la fraternità come passaporto per viaggiare all’estero.

Fratelli, Natale è il momento opportuno anche per noi per “partorire”. Incamminandoci verso il nuovo anno torniamo a contemplare il Padre che ci ha donato Gesù. Anche noi dobbiamo generare la semplicità della vita, la gioia di essere, l’umiltà, l’amorevole compassione verso i poveri. Fianco a fianco, insieme come fratelli e amici, camminiamo per fede e non per ciò che vediamo, nella nostra continua configurazione alla vita e al ministero di Gesù, ispirati da fratello Carlo e per il nostro vivificante lavoro missionario con l’amato popolo di Dio.

Vogliate, per favore, offrire una preghiera per me, vostro fratello responsabile.

Con il mio abbraccio fraterno,
Eric Lozada

PDF: Lettera di Natale del responsabile generale, 1 gennaio 2020, it

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