Piccoli Fratelli di Jesus Caritas, giugno 2023

Carissimi, il primo giugno ho avuto la gioia di accogliere in Abbazia, a Sassovivo, un gruppo di Piccoli Fratelli del Vangelo: erano in trentasei, e in una sola volta non è poco, provenienti da Assisi dove si sono incontrati per un’esperienza comune denominata “Fratelli Tutti”.

Erano proprio belli, nella diversità di provenienza, cultura ed età: gli occhi trasparenti, il sorriso sulle labbra, la semplicità dei bimbi, la gioia di vivere.

Intrattenendomi con loro, mi sono sgorgate dal cuore le parole di Pietro, dette a Gesù sul monte Tabor: “Signore, è bello per noi essere qui!” (Mt. 17,4).

La mattinata si è svolta con la visita all’Abbazia, a cui è seguita la celebrazione Eucaristica e il pranzo al sacco sul prato, vicino all’ingresso della nostra Fraternità.


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Baba Simon, il missionario a piedi nudi

Sabato 10 giugno 2023
Baba Simón, il missionario a piedi nudi
(Da “ECHI DELLA SAVANA”)

Sabato 20 maggio, il Santo Padre Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del sacerdote diocesano camerunese, padre Simon Mpeke. Divenne così il primo “beato” camerunese.

Simon Mpeke nasce intorno al 1906 a Pongo, villaggio nella fitta giungla del sud del Camerun, da una famiglia di contadini di etnia Bakoko.

I suoi genitori non erano cristiani poiché i primi missionari cattolici erano arrivati ​​sulle coste di questo Paese solo pochi anni prima della sua nascita, nel 1895. Terminati gli studi presso la scuola missionaria cattolica dei missionari pallottini di origine tedesca, chiese il battesimo ., che ricevette il 14 agosto 1918, quando aveva 12 anni sotto il nome di Simón. È diventato un insegnante e ha insegnato per un po’.

Fino ad allora i sacerdoti erano tutti missionari stranieri, tedeschi e francesi e si pensava che gli africani non potessero esserlo. Nel 1921, quando Simón scoprì che “un uomo di colore poteva diventare prete”, non ne dubitò. Rompe con la giovane donna che gli era stata promessa e inizia a studiare il latino con un piccolo gruppo di amici. Nell’agosto 1924 entrarono a far parte del Seminario Minore di Yaoundé, che aveva aperto i battenti nel luglio 1923. Vi lasciò il ricordo di un seminarista eccellente, serio, molto pio e pacifico.

Fa parte del gruppo dei primi otto sacerdoti camerunesi ordinati l’8 dicembre 1935. Ha lavorato per dodici anni come vicario in una Missione in mezzo alla campagna, dove lascia il ricordo di un sacerdote molto zelante e molto spirituale, che stupisce le persone ed è dato senza limiti.

Segnato dalla teologia del suo tempo, prese una posizione molto ferma contro le pratiche religiose tradizionali della regione. Considerato un sacerdote di grande valore, fu assegnato nel 1947 alla grande parrocchia di New-Bell, a Douala, dove fu nominato parroco. Simón dà grande impulso alla parrocchia, creando gruppi, sostenendo i movimenti e le scuole di Azione Cattolica ed essendo sempre disponibile e con grande generosità verso i suoi parrocchiani.

La fondazione delle Fraternità dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle di Gesù, all’inizio degli anni ’50, gli fa scoprire la spiritualità di Carlos de Foucauld. Nel 1953 entrò a far parte dell’Istituto secolare dei Fratelli di Gesù e chiese un anno sabbatico per fare il “noviziato” in Algeria.

Sarà uno dei fondatori a livello internazionale dell’Unione Sacerdotale Jesus-Caritas e suo primo responsabile in Camerun e in Africa.

Sacerdote molto amato e influente, fu addirittura proposto, insieme ad altri due, alla carica di assistente del suo Vescovo. Intorno al 1954 sentì la chiamata a partecipare all’evangelizzazione delle popolazioni cosiddette “pagane” del Nord Camerun. Dopo aver riflettuto a lungo, trascinato dal dinamismo missionario dell’Enciclica “Fidei Domun”, nel 1959 divenne il primo sacerdote missionario secolare camerunese nel suo Paese.

Dopo un breve soggiorno in una comunità di piccoli fratelli di Gesù, si stabilì a Tokombéré, nell’attuale diocesi di Maroua-Mokolo, a più di mille chilometri dalla sua città.

Nei secoli precedenti, orde di cavalieri musulmani di origine Peul, provenienti dalla vicina Nigeria, avevano costretto i clan insediatisi fin dall’alba dei tempi in quella fertile pianura a dirigersi verso le montagne rocciose, per proteggersi dai loro attacchi. Queste persone erano chiamate kirdi in senso peggiorativo dai musulmani, che sembra significare kaffir o incirconciso.

Immediatamente iniziò ad essere chiamato “Baba Simón” (Papa Simón) dalla popolazione locale. Percorse instancabilmente le montagne predicando il Vangelo agli abitanti di questa regione montuosa. Vivendo in grande semplicità, è chiamato il “missionario scalzo”, dedicherà la sua vita a lottare contro la miseria in cui vivono queste persone. Affermando, secondo uno studioso musulmano, che la miseria è «nemica di Dio».

La sua intensa vita di preghiera e la sua gioia comunicativa ne fanno un luminoso testimone dell’amore di Dio anche nei paesi più lontani dalla sua vasta parrocchia. Sotto la sua guida e il suo esempio nacque una fervida comunità cristiana. Una sola passione animava Baba Simon: donare Gesù Cristo ai Kirdi e dare loro strumenti per liberarsi da ogni schiavitù. Baba Simón ha insistito sull’importanza della scuola. Ma, dopo i primi insuccessi, ha capito che bisognava prima di tutto conquistare la fiducia dei Kirdi. Da qui nacque quella che fu chiamata “la scuola sotto l’albero”.

Attraverso la scuola, le strutture sanitarie, l’impegno contro le ingiustizie, l’accompagnamento dei giovani e la chiamata alla fraternità universale, ha permesso una vera promozione di popolazioni fino ad allora sottovalutate. La sua preoccupazione per il dialogo permanente con i responsabili delle religioni tradizionali e l’incontro con i musulmani lo ha reso un precursore del dialogo interreligioso e gli è valso l’appellativo con il quale è ancora venerato dopo la sua morte, sia dai cristiani che dai non cristiani.

Pochi mesi prima di morire, scrisse queste note: “Tutto ciò che mi circonda respira Dio. L’intero universo è una casa di vita. Per stare davanti a Dio, non è necessario immaginarlo altrove se non in noi dov’è, nella nostra azione dove Lui agisce, nel nostro prossimo dove Lui abita. Quando moriremo, il nostro corpo sarà sepolto nella terra di Dio dove appassirà in Dio e si risveglierà nell’Oceano della Vita Eterna… Credere è credere prendere coscienza della Vita… in Dio”!

Baba Simón ascolta, guarisce e aiuta. Prova a capire. Lui, che nella sua prima parrocchia del Sud, nel 1936, ruppe i tamburi della religione tradizionale, approfondisce la sua visione spirituale degli uomini e di Dio. Guarda la sofferenza di questi popoli. Attraverso le sue passeggiate in montagna e i suoi incontri, tutto diventa chiaro: annunciare Gesù significa costruire l’uomo, tutto l’uomo, attraverso la Buona Novella. Questi uomini, considerati schiavi, ascoltano Baba Simon dire loro che sono figli di Dio, amati da Dio. E che sono fratelli.

Nel corso degli anni, Tokombéré è diventata il luogo di un’insolita esperienza pastorale di promozione umana e spirituale. Il 13 agosto 1975 morì, completamente sfinito, al termine di una vita interamente consacrata a Dio e agli uomini.

Affidiamo questa regione dell’estremo nord del Camerun, così permanentemente esposta al gruppo terroristico Boko Haram, all’intercessione di Baba Simon, perché i cristiani mantengano la calma e continuino a testimoniare “la Buona Novella di Gesù”.


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Piccoli Fratelli di Jesus Caritas. Maggio 2023

Maria, dono da accogliere e custodire

Carissimi, nel mese di maggio in tanti luoghi, case, chiese, santuari mariani, si viene attratti dalla Madre di Gesù.

In una strada di campagna, un’edicola con un affresco di Maria con il Bambino in braccio, segno della fede dei nostri “padri”, continua ad essere memoria per il viandante che non è solo nel suo cammino.

Un segno di croce, un saluto: “Ave Maria” e il passo è rinfrancato nel pellegrinaggio quotidiano. La grata di protezione del dipinto viene aperta nella sera tiepida, allietata dal profumo dei fiori, accorrono persone, mani provate dal lavoro dei campi stringono il rosario: fede incarnata nel quotidiano, il rito si perpetua nel mese dedicato a Maria.

Il nostro rapporto con la Vergine di Nazareth non è una semplice devozione o l’aggiunta dell’aggettivo mariano per indicare una spiritualità, ma vivere l’affidamento voluto da Gesù, dall’alto della croce, a sua Madre, del discepolo amato, come narra il Vangelo di Giovanni (19,26-27): “Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.”


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Jacques GAILLOT. Testimonianza di Jean-François BERJONNEAU

Jacques GAILLOT a volte diceva: “Se nella diocesi fosse rimasto un solo sacerdote, lo nominerei cappellano del carcere. Era una priorità per lui.
È lì che ha vissuto questa preferenza evangelica per la pecora smarrita.
È lì che ha messo in pratica questa audacia di Cristo che consiste nell’uscire dalle 99 pecore dell’ovile per andare alla ricerca di colei che si è smarrita su sentieri pericolosi.

E ha io accettato che assumessi il ministero di vicario generale pur essendo cappellano del carcere per non perdere il rapporto con gli esclusi.
Allo stesso modo, scelse poi Roland DOLLÉ come vicario generale in relazione al suo ministero di cappellano dell’ospedale psichiatrico.
Per lui il carcere era il luogo dove la Chiesa poteva essere a diretto contatto con il grido degli esclusi, degli emarginati, dei “maltrattati dall’esistenza” come diceva l’Abbé Pierre.
E si è lasciato toccare da queste grida.

E non ha mai smesso di mostrare loro la loro dignità nonostante il loro pesante passato
Abbiamo vissuto una bella collaborazione in questo ministero che consiste nell’essere testimoni di speranza per coloro che ne sono tanto privi e che a volte pensano di non avere più futuro.

Certo, è venuto a celebrare la messa nelle principali festività con questa parrocchia intramurale.
E ci siamo incontrati la mattina prima di partire per la Maison d’Arrêt nel giardino del vescovado per raccogliere i fiori in primavera per decorare la stanza che fungeva da nostra cappella.
Ma gli piaceva anche partecipare alle riunioni di cappellania, ascoltare le sofferenze, le grida di rivolta, le domande abissali poste da queste persone in attesa di giudizio.

E ricordo che in certi momenti usciva dall’aula della cappellania spiegando che non era lì solo per i ragazzi che frequentavano la cappellania ma anche per gli altri.
E andava con la chiave della cappellania a incontrare i carcerati qualunque fosse la loro religione, la loro provenienza o il reato commesso nelle loro celle.
Vi risiedeva in brevi soggiorni dove poteva esercitare la sua straordinaria capacità di mettersi alla portata delle persone, di capirle e di mostrare loro questa amicizia che dava loro fiducia e che gli permetteva di ascoltare tante confidenze.
E non era solo con lui.

Sapeva anche bagnarsi e impegnarsi per contribuire al reinserimento dei ragazzi che uscivano dal carcere.
Arrivò al punto di aprire alcune stanze al secondo piano del vescovado per accogliere uomini che uscivano di prigione come parte dell’associazione Pause café.
Non fu facile perché un giorno fu chiamato da un gioielliere di Évreux al quale uno dei suoi ospiti aveva cercato di rivendere la sua croce pettorale che aveva rubato al vescovado.
Ha portato avanti questa preoccupazione anche in collaborazione con associazioni come Pause café, rifugio, habitat e umanesimo, il soccorso cattolico per contribuire a questo lungo cammino dell’ostacolo rappresentato dal reinserimento.

Infine, non ha cessato di interpellare tutte le comunità cristiane riunite nella sua diocesi sulla loro capacità di aprirsi a queste angosce degli esclusi e di attuare una concreta solidarietà.
Egli ha detto :
“Alla nostra Chiesa manca la povertà del rischio.
Quali sono le nostre audacie adesso?
La Chiesa è serva quando, di fatto, sta dalla parte degli immigrati, dei disoccupati, dei carcerati, degli esclusi, delle minoranze…
La credibilità obbliga ad essere vero in ogni situazione.
Quando fai le cose, non puoi imbrogliare.
Se la Chiesa non serve, è inutile».

Grazie, Jacques, per aver servito la nostra Chiesa diocesana ponendo i poveri al centro della comunione fraterna.
Con voi abbiamo compreso che una Chiesa può essere fedele alla Buona Novella di Cristo solo essendo solidale con tutti coloro che il mondo trascura.

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Picolli Fratelli di Jesus Caritas. Pasqua 2023

Carissimi, la Luce vince le tenebre, la Vita la morte, il cuore si apre alla gioia, vestiamo un canto di vita nuova: è la Pasqua del Signore!

È questo l’augurio per ciascuno di voi da parte mia e dei miei fratelli.

Non vuol essere il ripetere parole ormai entrate nell’uso in occasione di una ricorrenza fondante la vita cristiana, un voler chiudere gli occhi dinanzi alle realtà di buio che ci circondano o che viviamo personalmente.

Il vangelo di Giovanni conclude la narrazione dell’annuncio del tradimento di Giuda con queste parole: “Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.” (Gv. 13, 30).

Giuda, in cui Satana è appena entrato viene inghiottito dal buio delle tenebre, ed era notte.

L’esperienza di Giuda coinvolge la realtà planetaria: guerre, fame, diritti alienati, discriminazioni, ed il microcosmo del nostro quotidiano: sofferenze a causa di malattie fisiche, psichiche, divisioni familiari, corruzione. Ed era notte!

Quanto buio, quanti gridi afoni perché soffocati, quanto bisogno di luce.


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