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Picolli Fratelli Jesus Caritas, marzo 2021
viviamo il tempo quaresimale con lo sguardo rivolto alla Pasqua per poter rinnovare la nostra adesione al Cristo crocifisso e risorto e divenire cantori di una vita nuova. Le ceneri, segno penitenziale, memoria della nostra creaturalità – e per ciò stesso bellezza di poter accedere alla novità del Vangelo, al volto di Gesù –, quest’anno per la comunità di Sassovivo sono state caratterizzate dalla visita del “Covid 19”.
Il virus, come per tante famiglie, ha abbracciato interamente la nostra fraternità anche se con esiti diversi. Leonardo è stato il fratello maggiormente colpito, al punto di essere ricoverato per tre settimane in terapia intensiva. Ringraziando il Signore è tornato in comunità e ha iniziato il percorso della fisioterapia. Siamo grati a quanti ci sono stati vicini con la preghiera e l’amicizia. L’esperienza vissuta mi ha confermato, all’inizio del cammino verso la Pasqua, nel considerare la precarietà della vita e l’impegno a compiere ogni giorno tutto il bene possibile. L’esistenza è un battito di ciglia o ancora meglio, come dice il salmo 90,4: «Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte».
Lo sguardo si volge all’eternità di Dio, di cui Gesù attraverso la Pasqua ci rende partecipi. Nonostante la nostra caducità, precarietà, siamo chiamati dall’amore di Dio, all’eternità. Il pellegrinaggio terreno è così breve che non possiamo permetterci omissioni nell’essere buoni, nel tirare fuori la parte migliore di noi stessi.
Quaranta giorni nel deserto quaresimale per andare all’essenziale e passare dall’io al noi, dal mio al bene comune. Nei nostri esami di coscienza molto spesso ci dimentichiamo delle omissioni: quanto bene avrei potuto fare e non ho fatto. Siamo come il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano, che passano accanto ma non si fanno prossimi dell’uomo sul ciglio della strada derubato e malmenato.
Non bastano più i pii propositi nati dal nostro sentire e dal nostro volontarismo, è tempo di non strisciare l’esistenza ma di accogliere tutte le possibilità per amare e divenire testimoni dell’Eterno.
Essenzialità anche nel nostro rapporto con Gesù. Non moltiplicare il fare ma privilegiare l’essere. Non tante parole ma silenzio, grembo fecondo dell’ascolto. Non pratiche religiose ma un rimanere in Gesù come il tralcio nella vite della similitudine evangelica.
La notte è trascorsa e sul cuscino rimane qualche resto di cenere a ricordarmi il mio essere polvere e l’invito a conversione, bellezza di Gesù e del suo Vangelo, accesso all’eternità del Creatore. È il tempo che passa e la Luce si avvicina, non possiamo non amare.
Un abbraccione,
Paolo Maria
fratello priore
(Español) EL PAPA FRANCISCO EN IRAK. Marzo 2021
(Español) La Eucaristía, un reto en los tiempos que vivimos. Claude RAULT
(Español) Misioneros en la Amazonía como respuesta al pedido del Papa Francisco
Piccoli Fratelli Jesus Caritas, febbraio 2021
È quando siamo deboli che siamo forti
Carissimi, fratel Paolo Maria mi chiede di rivolgervi anche da parte sua il consueto saluto, perché lui ancora non è in piena forma dopo qualche settimana di malattia.
Per chi non fosse a conoscenza, subito dopo le feste natalizie il Coronavirus è arrivato all’Abbazia di Sassovivo e i nostri cinque fratelli si sono ammalati, compreso fratel Gabriele, che era già rientrato a Roma dopo aver trascorso le feste in fraternità, e anche un paio di amici che frequentano più assiduamente l’abbazia. Fratel Leonardo è stato colpito duramente ed è ricoverato all’ospedale di Foligno, tuttora si trova in terapia intensiva e le sue condizioni sono delicate. La nostra attenzione si era concentrata subito su fratel Gian Carlo perché pensavamo fosse il più vulnerabile, ma grazie a Dio lui e gli altri fratelli si stanno riprendendo sempre più. Fratel Giovanni Marco era arrivato da Nazaret per trascorrere il Natale a Sassovivo e anche lui è rimasto contagiato; la sua presenza, paradossalmente, è stata provvidenziale perché ha potuto assistere gli altri fratelli, altrimenti le cose potevano andare peggio.
Leggete l’intero documento al prossimo link (PDF): JCQ_2_2021-2
(Español) Mensaje del Papa Francisco para la Cuaresma 2021
Picolli Fratelli Jesus Caritas. Gennaio 2021
Vivere come una mano aperta
Carissimi, desidero augurarvi un buon anno con le parole conclusive del libro dell’Apocalisse: “La grazia del Signore Gesù sia con tutti”, (22,21).
Il tempo è dono di Dio ed ha il suo senso se è vissuto nella grazia, nell’amore di Gesù.
Abitare la fiducia nel Signore è il modo migliore per iniziare ogni nuovo giorno nella coscienza di poter respirare la bellezza dell’esistenza soltanto nella grazia di Dio, sentendosi accolti, amati, perdonati.
Affidare la propria quotidianità a Gesù è accettarlo alla guida dell’automobile della nostra vita. Con Lui il viaggio procede sicuro, le difficoltà affrontate e dissolte, gli ostacoli superati fin quando alla prima sosta, alla pompa di benzina o all’autogrill, risalendo sul veicolo siamo noi a riprendere in mano il volante e le strade che intraprendiamo molto spesso sono quelle sbagliate, se non addirittura senza uscita.
Scarica il documento completo in PDF: Picolli Fratelli Jesus Caritas. Gennaio 2021
(Português) Por trás de cada vacina Covid-18 existe uma grande e intelectualiísima mulher. José Inácio do VALE
Testo 5. Il dialogo nell’itinerario spirituale di fratel Charles. Jean-François BERJONNEAU
Jean-Francois BERJONNEAU, France
Fr. Charles visse sessant’anni prima del Concilio Vaticano II.
La nozione di dialogo interreligioso come lo intendiamo oggi nella Chiesa gli era totalmente estranea. Pur essendo stato, credo, un precursore delle aperture del Concilio sulla dimensione universale della missione della Chiesa, il processo di dialogo tra credenti cristiani e musulmani in quanto tali non rientrava nelle sue categorie. Egli è vissuto con la teologia del suo tempo con la preoccupazione di raggiungere i musulmani per salvare “queste anime ignoranti” facendo conoscere loro il Cristo.
Inoltre, ha svolo il suo ministero in un contesto socio-politico preciso. La Francia, nel suo tempo, estendeva il suo impero coloniale su una parte dell’Africa. Molti pensavano, in quel momento, che essa stesse facendo opera di civilizzazione e che potesse fornire l’istruzione necessaria per liberare i popoli colonizzati dalla miseria e dall’ignoranza. Fratel Charles ha aderito a questa visione. Così egli non ha visto nell’Islam del suo tempo una religione che avesse una sua consistenza, una sua storia, le sue diverse correnti con alcune delle quali i cristiani potevano entrare in dialogo. Sebbene l’Islam avesse esercitato su di lui, in un particolare momento della sua vita, un certo fascino e che l’incontro con i musulmani abbia costituito per lui una tappa non trascurabile nel cammino della sua conversione, egli sarebbe stato ben lontano dal sottoscrivere questa visione conciliare dell’Islam secondo la quale “La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato con gli uomini …” (Nostra Aetate, 3). Non rientrava quindi nella problematica teologica del Concilio Vaticano II che riconosce nelle religioni non cristiane la presenza di “semi del Verbo” che possono costituire una base per entrare in dialogo con i credenti di un’altra religione.
Tuttavia, mi sembra che possiamo comunque considerare Fratel Charles come un precursore del dialogo. Perché ha stabilito con le popolazioni musulmane che ha incontrato, in particolare con i Tuareg, un “dialogo della vita” che è stato poi presentato dall’enciclica “Ecclesiam Suam” di Papa Paolo VI nel 1964 come la base fondamentale per qualsiasi dialogo: “Non si salva il mondo dal di fuori, occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo …. occorre condividere il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo… Bisogna farsi fratelli degli uomini … Il clima del dialogo è l’amicizia” (n.90). Così, fratel Charles, dedicando tutte le sue energie e gran parte del suo tempo all’apprendimento della lingua dei Tuareg di cui condivideva la vita, intrattenendo conversazioni molto semplici sulle realtà della loro vita quotidiana, aprendosi alla loro. poesia e quindi cercando di capire il genio di questo popolo, seppe creare, attraverso il dialogo con i suoi ospiti, un clima di fiducia al punto da diventare per molti “un amico”. Ha così mostrato che la missione della Chiesa è anche quella di suscitare dei fratelli, nel rispetto delle differenze di cultura o di religione, come ha successivamente fatto la Chiesa in molti paesi del pianeta, forte delle aperture del Concilio Vaticano II. Possiamo quindi riconoscere che per noi, sacerdoti della Fraternità sacerdotale Jesus Caritas, quali siamo, fratel Charles ha avviato una spiritualità del dialogo che può ancora ispirarci negli incontri che abbiamo non solo con i musulmani ma anche con tutti coloro che non condividono la nostra fede. Così il cammino del dialogo da lui inaugurato con i Tuareg si è sviluppato in diverse figure fondamentali:
Egli ha saputo andare oltre se stesso per andare ad immergersi nel paese dell’altro. Così ha realizzato quello che Papa Francesco chiama “una Chiesa in uscita”. Egli ha desiderato di farsi accogliere da questo popolo e divenire, nella misura del possibile, “uno di loro”. E ha fatto dell’apprendimento della loro lingua un’opera mistica perché essa si poneva per lui nella logica dell’incarnazione del Cristo in quella umanità che egli è venuto a salvare.
Anche se il suo più grande desiderio era che i musulmani si convertissero alla fede cristiana , non ha mai esercitato alcuna pressione per raggiungere il suo scopo. Ha sempre rispettato la loro libertà. Nel 1908, riconobbe che non sarebbe mai arrivato ad ottenere alcuna conversione e concluse che certamente questa era la volontà di Dio. Ma è rimasto in mezzo al popolo tuareg in nome dell’alleanza che aveva stretto con esso, semplicemente per avanzare sulla via della fratellanza con questo popolo. Il suo obiettivo: diventare l’amico dell’altro. In una lettera indirizzata a un corrispondente, ha così caratterizzato la modalità di relazione che voleva adottare con i musulmani che lo circondavano: “Prima di tutto, preparare il terreno in silenzio attraverso la gentilezza, il contatto intimo, il buon esempio; amarli dal profondo del cuore, farsi stimare e amare da loro. In questo modo, far cadere i pregiudizi, ottenere fiducia, acquisire autorità – questo richiede tempo – per poi parlare in particolare ai più disposti, con molta cautela, a poco a poco, in modo vario, dando a ciascuno secondo ciò che può ricevere”. Non potendo proclamare esplicitamente il Vangelo, ha voluto personalmente diventare presenza di Vangelo. Questo è ciò che intendeva quando diceva di voler “gridare il Vangelo non con le parole ma con tutta la sua vita”. Ha saputo fare suo lo sguardo di Dio sui musulmani che ha incontrato. Non ha visto in loro, prima di tutto, degli “infedeli” o dei “miscredenti”, ma, nel suo desiderio di diventare un fratello universale, li ha considerati come “fratelli amati”, dei figli di Dio, anime redente dal sangue di Gesù, anime amate da Gesù”.
Ha manifestato il volto di una Chiesa diaconale. Non si è semplicemente accontentato di vivere con loro ma ha anche contribuito, nella misura delle sue possibilità, al miglioramento delle loro condizioni di vita e allo sviluppo del loro paese. Ha lottato contro la schiavitù, ha combattuto le malattie, ha introdotto in questo paese molto povero la possibilità di accedere a cure mediche, nuove tecniche agricole e mezzi di comunicazione.
Ogni volta che ha potuto, ha aperto un dialogo spirituale con i musulmani. Certamente non aderiva affatto alla dottrina dell’Islam. Ma ha riconosciuto un punto in comune con la fede cristiana: il duplice comandamento di amare Dio con tutto il cuore e di amare il prossimo come se stesso. Su questa base ha sviluppato numerosi dialoghi con i suoi amici musulmani, mostrando loro in varie circostanze come questo duplice comandamento poteva innervare le loro relazioni quotidiane.
Infine, e questo non è un elemento secondario del dialogo, ha fatto del mistero pasquale la via maestra del dialogo. Perché, contemplando costantemente la vita di Cristo a Nazareth, come lui ha intrapreso la strada dell’umiltà, della povertà, dell’ascolto e del morire a se stesso nell’incontro con l’altro. Ha manifestato con tutta la sua vita che “non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che ami”.
Presentandosi come “un pioniere”, ci ha mostrato che il dialogo della vita è parte integrante della missione della Chiesa.
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