Fratello del mio nemico. Aurelio SANZ BAEZA

Il nostro cuore è un laboratorio che dispone di attrezzi per la manutenzione, per riparare un guasto, per valorizzare o anche per creare buoni sentimenti. A volte, non si riesce ad trovare il giusto attrezzo perché c’è disordine oppure perché è rotto, o perché avremmo bisogno di uno nuovo difficile da conseguire. A volte, usiamo anche un attrezzo sbagliato, semplicemente perché pensiamo che sia più facile da utilizzare. Il laboratorio del cuore può essere deteriorato, con gocciolamenti, o non arieggiato; può essere piccolo o essere non sempre pulito. E’ probabile che ci ci siano state epoche in cui il laboratorio fosse “chiuso per ferie”… Ogni giorno passano per il laboratorio del cuore i sentimenti deteriorati, la sfiducia verso gli altri, l’orgoglio ferito – l’ego messo in ridicolo – e le delusioni. Forme, colori, percezioni , molto differenti.

Ricordo una persona che mi diceva “Le canne di bambù diventano lance”, e si riferiva alla grande delusione della “nullità amicale”di chi credeva fosse un grande amico. Dopo aver perso l’amicizia, può arrivare la sfiducia non solo verso quella persona ma anche verso altre persone che guardiamo con sospetto. “Il cuore va ripulito, ordinato, purificato. Da che cosa? Dalle menzogne che lo sporcano, dalla debolezza della ipocrisia; tutti ne abbiamo, tutti. Sono infermità che feriscono il cuore, intorbidano la vita, la rendono ambigua. Abbiamo bisogno di essere ripuliti dalle nostre false sicurezze, che barattano la fede in Dio con cose che passano, con le convenienze del momento”. (Papa Francesco, Messa a Erbil, Irak, 7 marzo 2021)

Spesso si sente dire “non lo perdonerò mai”, “non ti fidare di nessuno”, “a pensare male si indovina”… Con il vangelo in mano, sapendo che è una chiamata permanente alla fedeltà – Gesù, il Maestro, il Signore, perdonò, diede fiducia e non coltivò sentimenti negativi verso nessuno -, non possiamo accettare come norma di vita la sfiducia, il sospetto, anche se è comprensibile perché siamo esseri umani e non siamo robots programmati per assumere una condotta determinata.

La nostra vita è attraversata da molte persone, alcune restano, altre semplicemente passano. A seconda di dove abitiamo o viviamo, ogni giorno ci incontriamo con realtà umane diverse. Alcune di esse richiamano la nostra attenzione in ragione del nostro lavoro o della convivenza in uno stesso luogo o nelle vicinanze e altre realtà sono esterne alla nostra più stretta vita quotidiana.

Le aree di confitto o di buon accordo variano a seconda della nostra psicologia, cultura, età… In ognuno di noi c’è un mondo diverso dagli altri e, perciò, ci sono modi differenti di risolvere o superare le difficoltà nella convivenza, nell’ amore familiare o comunitario, nel lavoro in comune o nella relazione di amicizia.

Se la nostra vita entra in conflitto con una o con diverse persone, il laboratorio del nostro cuore deve produrre una gran quantità di rispetto e di responsabilità, per posizionarci là dove dobbiamo stare, con il dialogo possibile, comprendendo le ragioni degli altri, senza giudicarli. E’ sempre meglio riparare che gettare via. E se chiudiamo porte, attenti di non restare noi chiusi dentro, con la chiave di fuori.

Perché:

quando crediamo che una amicizia non si spezzerà mai, e invece accade;
quando ci poniamo al di sopra di tutti;
quando pensiamo di essere migliori degli altri;
quando nella vita pesano più le sconfitte che le vittorie;
quando ci consideriamo il nemico di noi stessi;
quando ci addolora che ci sia gente che non si impegna come noi;
quando non siamo maturi per accettare le sconfitte;

allora:

mettiamo mano all’attrezzo dell’umiltà, guardiamo Gesù abbandonato, ferito. Papa Francesco ha detto , nella messa in rito caldeo nella cattedrale di Bagdad, il 6 marzo 2021: “Se vivo come vuole Gesù, che cosa guadagno? Non rischio di essere calpestato dagli altri? Vale la pena seguire la proposta di Gesù? O è perdente? Non è perdente, è soltanto saggia!” La saggezza è sorella gemella dell’umiltà.

Se ci troviamo nella situazione in cui , pur avendo perdonato e di menticato, il laboratorio del nostro cuore non arriva a cambiare la nostra vita personale o quella di coloro che si sono allontanati dal nostro affetto, dalla postra fraternità, dalla nostra amicizia e fiducia, dalla nostra accoglienza, ci sentiremo nuovamente sconfitti… Non possiamo cambiare gli altri. Accettare la situazione richiede un grado do maturità che ci permette di essere in pace con noi stessi.

Quando ci consideriamo “figli prodighi” dei nostri fratelli, e ritorniamo là da dove non avremmo mai dovuto allontanarci, mentre l’altra persona ci stava aspettando, il laboratorio del nostro cuore si presenta libero da ferraglia vecchia e inservibile, ripulito dalle ragnatelle dei pregiudizi, dando tempo al tempo, senza vincitori né vinti.

Che io possa essere fratello del mio nemico, con la gioia interiore non tanto per la coscienza tranquilla di aver fatto le cose nel miglior modo possibile, ma quella data dalla pace del cuore, quella che la carità e l’amore riflettono, allora si manifesterà la gioia che caratterizza l’equilibrio nei nostri sentimenti. Una sfida, la sfida di Gesù che ci invita a perdonare settanta volte sette e ad essere perdonati altrettante volte.

Aurelio SANZ BAEZA

(Boletín Iesus Caritas, 210)

(Traduzione di Secondo MARTIN)

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Beati i poveri in spirito. Giorgio PISANO

Don Giorgio Pisano, amico delle fraternità di Charles de Foucauld

Padre Giorgio, come viene di solito chiamato a Portici nel Napoletano, è un “amico storico” della nostra fraternità e della Famiglia spirituale di Charles de Foucauld; da oltre trent’anni, da quando ha iniziato a frequentare Spello è, di fatto, un fratello che fa sentire la sua vicinanza. Fino all’inizio del Covid, assieme ad un gruppo dei suoi parrocchiani, ha frequentato mensilmente la fraternità del Goleto per una giornata di spiritualità-preghiera-condivisione fraterna…

In questi giorni dell’Assunta abbiamo avuto la gioia di averlo con noi all’Abbazia di Sassovivo. Nel ringraziarlo della sua amicizia fraterna, desideriamo condividere un estratto di un suo articolo, sulle Beatitudini, apparso sulla rivista Jesus Caritas nell’ottobre 2020.

Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli”

Vorrei dare un’enfasi maggiore alla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli”, essendo essa a dare l’avvio, il “la” alle altre. 

Cosa significa “beati i poveri in spirito” per la comunità giudeo-cristiana matteana?

Alcuni pensano che possa essere possibile un distacco “spirituale” dalle ricchezze pur possedendole. Si vive negli agi, sentendosi poveri, esercitando uno stoico distacco da essi. Ma ciò è ingiusto e antievangelico. Questa forma di distacco potrebbe essere una sorta di dissociazione. 

Più che poveri “in spirito” è meglio tradurre allora poveri per lo spirito” (A. Maggi). I poveri per lo spirito sono coloro che scelgono di essere poveri e di condividere affinché non manchi il necessario agli altri. 

Gesù viene a proporre un distacco vero, reale per diventare poveri per lo spirito, cioè persone che scelgono di entrare volontariamente e liberamente nella condizione della povertà. La povertà subita e non scelta, non può essere una realtà voluta da Dio né tantomeno una beatitudine per i tanti affamati della terra. Essa costituisce una profonda ingiustizia. Il compito del cristiano è quello di contribuire ad eliminare la condizione di povertà e di miseria nel mondo.

Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù affermando: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” fa riferimento a qualcosa di molto concreto cioè alla cancellazione e al condono radicale dei debiti. Lui ci propone un giubileo permanente, una pratica abituale del condono dei debiti da diventare stile di riconoscimento della comunità cristiana. 

Nella primitiva comunità di Gerusalemme, “nessuno era bisognoso” (cfr. At 2,42-48). La condivisione dei beni era uno dei punti focali di essa e diventava la dimostrazione che nell’affidarsi a Dio era possibile il bel segno della condivisione. Una comunità che vuole vivere veramente della Pasqua del Risorto, fa di tutto affinché non ci siano persone che posseggono e persone che non posseggono. Occorre davvero “abbassare il proprio livello di vita, per permettere a quelli che lo hanno troppo basso di innalzarlo”. Quindi niente astrattismi, spiritualismi disincarnati ma piuttosto scelte progressive verso un sereno radicalismo evangelico che dia gloria a Dio: “Gloria Dei, homo vivens” (S. Ireneo). 

San Paolo scrive: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…” (Ef 2,5-7); “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatti povero per voi” (2 Cor 8,9).

Fino a che punto allora ci fidiamo del Signore sì da decidere di entrare nella povertà, liberamente, volontariamente, per amore, sentendoci responsabili della felicità e del benessere degli altri?

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