Preghiere nel deserto (In Algeria sulle orme di Charles de FOUCAULD)

Un libro mi ha portato fino a qui, in pieno deserto, duemila chilometri a sud di Algeri. Non è stato il desiderio di ‘solitudine e spiritualitá’ che, credevo, fosse legato al mito di Charles de Foucauld, santo del deserto, beatificato poco più di un anno fa dopo una controversa e lunghissima istruttoria vaticana. No, non é stata la leggenda di questo solitario e discusso uomo del cristianesimo a spingermi nel Sahara piú lontano, fino a Tamanrasset, la cittá che e cresciuta attorno al suo ultimo rifugio fortificato.

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Piccoli Fratelli di Jesus Caritas, marzo 2022

Carissimi, abbiamo iniziato il tempo quaresimale e quest’anno sento di viverlo nel grembo di una Chiesa, “ospedale da campo”.

Questa immagine ecclesiologica è di Papa Francesco che, in un’ intervista rilasciata al direttore de “La Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, afferma: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».

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Ritiro con la Comunitat de Jesús 22 gennaio 2022. Antonio SICILIA VELASCO

Per cominciare, voglio condividere con voi quella che è stata la mia esperienza al mio ritorno dal Guatemala poco più di 10 anni fa.

Nel primo colloquio con il vescovo mi sono dimesso da un ministero parrocchiale e ho scelto di continuare un ministero missionario, in uscita, cercando di farmi strada in un ambiente sconosciuto anche se era la mia città. Sono entrata a far parte di una comunità cristiana di base che conoscevo bene da molti anni e mi sono impegnata a fare volontariato con due ONG, cosa che mi ha permesso di entrare in contatto con persone provenienti da ambienti e realtà a me sconosciute nella vita della mia città molto diversi. Questo mi ha portato a due realtà che attualmente vivificano la mia vita di cittadino, la mia fede in Gesù e il mio impegno per il Regno: 1) La mia famiglia si è allargata. Condivido casa, tavola, gioie, difficoltà, disagi e progetti con una famiglia senegalese composta da una coppia di sposi e tre figli di 16, 4 e 1 anno e mezzo e che ha lasciato in Senegal altri due bambini di 14 e 12 anni . Condividiamo anche la fede e la fiducia in Dio che chiamano Allah e io, semplicemente, Padre. Un grande regalo inaspettato per me. E 2) La mia opzione per i poveri si è concretizzata in questo momento con la preoccupazione e il rapporto con i migranti, il loro mondo, i loro volti, le loro storie, i loro sogni, la loro via crucis… che mi ha portato ad impegnarmi nel Circolo de l Silenzio.

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Unità e pace dal Battesimo al Giordano. Giovanni MARCO

Nel nostro rito (che in Terra Santa è chiamato: “latino”) abbiamo già celebrato da una decina di giorni la festa del Battesimo di Gesù al fiume Giordano recandoci in pellegrinaggio sulle sue sponde occidentali nei pressi di Gerico, insieme a poco meno di un migliaio di fedeli locali. Alcuni giorni fa si è festeggiato anche sull’altra riva, in Giordania, dove già da 22 anni le chiese cattoliche di diversi riti si riuniscono per celebrare insieme.

Causa la differenza di calendario il 19 gennaio – proprio in mezzo alla settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – la chiesa greco-ortodossa festeggia la solennità dell’Epifania. Per quest’ultima l’Epifania o Teofania non ha al centro l’episodio evangelico dei Magi, ma, appunto, il Battesimo del Signore con la «grande benedizione delle acque». Infatti la festa è chiamata in arabo “al-Maghtas” che significa immersione.

È naturale che in questi giorni sgorghino dal cuore le parole di Paolo alla comunità di Efeso (4,4-6) facendone una invocazione all’unità delle diverse confessioni cristiane:

Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

La zona dove si ricorda il battesimo di Gesù, con i numerosi edifici di culto delle diverse chiese su entrambi i lati del fiume che la fanno apparire come una “valle santa” e semidesertica, non ispira solo la preghiera per l’unità nell’unico battesimo, ma anche la richiesta della pace. L’intera area è rimasta infatti a lungo tempo abbandonata a causa della guerra del 1967, che la trasformò in un enorme campo minato. Essa si trova in territorio palestinese (classificato come area “C” sotto il controllo di Israele) e fu resa poi in parte accessibile ai pellegrini dal 2011.

Solo a fine 2020 però è terminato lo sminamento e la bonifica del territorio e dunque la possibilità di celebrare l’Eucaristia con il popolo di Dio quest’anno nella piccola cappella “latina” dedicata ovviamente a San Giovanni Battista, appena restaurata.

Vogliamo condividere uno stralcio dell’omelia del Custode di Terra Santa, Francesco Patton nell’Eucaristia:

Lo scorso anno abbiamo potuto celebrare di nuovo la Santa Messa in questo luogo a distanza di 54 anni dall’ultima celebrazione. Per 54 anni non avevamo potuto celebrare qui perché questo era diventato un campo minato. Lo scorso anno eravamo un piccolo gruppo, a causa della pandemia, appena una trentina di persone. Quest’anno siamo di nuovo riuniti numerosi, come popolo di Dio come Chiesa, a celebrare il battesimo di Gesù qui nel nostro santuario dedicato al battesimo di Gesù. Siamo nel 55esimo anno, più di un giubileo biblico! Al termine di questa celebrazione Eucaristica, sul registro delle Messe, potremo scrivere la data di oggi, 9 gennaio 2022, e annotare che il popolo di Dio è tornato qui a celebrare solennemente. E potremo testimoniare che la colomba dello Spirito Santo, simbolo della pace che viene da Dio, è discesa ancora su quello che per tanti anni era stato un campo di guerra, un campo minato, e lo ha trasformato in un campo di pace, di adorazione e di preghiera […].

Quando Gesù entra nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni assieme ai peccatori esprime la solidarietà di Dio con l’umanità peccatrice, cioè con ciascuno di noi, e l’intenzione che Dio ha di salvare l’umanità intera e ciascuno di noi. Non è l’acqua a purificare il Cristo ma è il Cristo a santificare l’acqua. Questo è il senso dell’Incarnazione del Figlio di Dio: nel momento in cui il Cristo comincia a frequentare l’umanità peccatrice, l’umanità peccatrice comincia a sperimentare la benevolenza, l’amore la santità, la salvezza di Dio. Non è Dio a «corrompersi» a contatto con noi, ma siamo noi a venire «santificati» a contatto con Lui. Rileggiamo con attenzione le parole dell’apostolo Paolo a Tito: “Gesù Cristo ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone” (Tt 2,14). E ancora: “egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro” (Tt 3,5-6).

Dio voglia che, venendo santificati a contatto con Gesù, possiamo essere anche noi pieni di zelo per le opere di unità e di pace!

Fratel Giovanni Marco

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Piccole Sorelle di Gesù, notiziario 2021

Carissimi parenti e amici,

Forse abbiamo iniziato quest’anno con tante attese e speranze… la fine della pandemia, la ripresa delle attività lavorative, il salvataggio dei posti di lavoro, la fine delle limitazioni per ritrovare il gusto e la gioia di stare insieme, di essere vicini gli uni agli altri, specialmente a chi vive una solitudine più grande, i nostri anziani nelle case di riposo, i malati
negli ospedali.

Quali attese e speranze poi davanti ai drammi e alle sofferenze a livello mondiale, quelle di cui si parla e quelle ormai relegate nel silenzio… Forse alcune attese e speranze si sono compiute, altre sono state deluse.

Con tutto questo e tanto altro che ognuno porta nel cuore stiamo arrivando a Natale. Il tempo che stiamo vivendo, l’Avvento, è tempo di attesa e di speranza.

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Terapia intensiva. Aurelio SANZ BAEZA

Vivo. Il suono monotono del respiratore e delle macchine che mi controllano mi dicono che il mio cuore non si è fermato. Non so quando o come sono arrivato qui. Il mio orologio si è fermato nella mia mente. Ho smesso di vedere passare il tempo in quell’oggetto che mi colloca nel momento e che, ora, non mi serve più. I suoni della mia casa, del mio lavoro, della mia strada, del bar dove prendo un caffè o una birra, sono rimasti su un hard disk che non so se recupererò. Il virus ha reso tutto fuori controllo, mi ha portato via da coloro che amo. Ciò che mi arrivava attraverso i media su come stavano le persone che vivevano la mia stessa situazione, da lontano, è ciò che ora vivo. Come tante cose nella vita, pensi che a te non ti toccherà mai.

Mi rendo conto che ci sono persone che si prendono cura di me; Non li vedo bene, ed è come essere in un’astronave, dove si vedono solo gli occhi attraverso i loro occhiali di sicurezza e gli scherrmi che li proteggono da me, simile a quello che uso nel mio lavoro. Sono un pericolo, un pericolo che richiede la molta attenzione e, credo, molto affetto, anche se non mi hanno conosciuto prima. Non conosco i loro nomi, né la loro voce mi arriva chiara – anche sempre senza pretese – ed io non capisco cosa mi dicono. Lascio fare loro. Non posso muovermi e non voglio muovere nemmeno un dito. Continue Reading →