NULLA TI TURBI, NULLA TI SPAVENTI. TUTTO PASSA, DIO SOLO RESTA (St. Teresa d’Avila)
Sequestro e liberazione di don Giampaolo Marta, Suor Gilberte Bussière, don Gianantonio Allegri
Di Gianantonio Allegri (agosto 2014)
Sono passati circa due mesi dalla liberazione.
Desideravo proprio mettere per scritto la vicenda drammatica che ci ha coinvolti, don Giampaolo, suor Gilberte ed io: il sequestro da parte della setta islamica fondamentalista nigeriana, chiamata Boko Haram.
Il sequestro è avvenuto circa alle 23.00 del 4 aprile 2014 nella missione cattolica di Tchère (diocesi di Maroua-Mokolo, estremo nord del Cameroun).
La vicenda si è conclusa felicemente dopo cinquantasette giorni, liberati e consegnati alle forze dell’ordine camerunesi, la notte tra il sabato 31 maggio e la domenica 1 giugno 2014.
Due mesi sono trascorsi dalla liberazione, due mesi nei quali ho potuto in varie occasioni, spesso insieme con Giampaolo, raccontare quei 57 giorni, decifrando, più che i particolari del dramma, il senso che siamo riusciti a scoprire come un “tesoro nascosto nel campo”.
Ecco allora giunto il momento di scrivere, sia per dare un certo ordine ai pensieri spesso frammentati dall’occasionalità del racconto, sia perché questo tesoro nel campo sia condiviso con quanti hanno partecipato, da vicino o da lontano, alla nostra sofferenza con l’amicizia, l’affetto e la preghiera.
In modo del tutto particolare vorrei qui ricordare la speciale vicinanza fraterna di don Maurizio e don Leopoldo (anch’essi fidei donum di Vicenza a Maroua, nella missione di Loulou) che hanno condiviso la nostra vicenda fin dal primo istante, accompagnandoci in amicizia e facendosi punto di riferimento per gli amici e le nostre comunità.
D’ora in poi parlerò al plurale, perché sicuro che quanto scrivo non è semplicemente frutto della mia mente e del mio cuore ora, ma testimonianza emersa da tutti e tre, ancora mentre eravamo prigionieri. Certamente alcune pennellate saranno solo mie, attinte da punti di riferimento della mia storia vocazionale e del mio cammino spirituale.
Un piccolo inferno
Dal punto di vista fisico e psicologico, il sequestro, il tempo della prigionia e le circostanze della liberazione (sì, anche quelle !!), sono da definirsi come un piccolo inferno, un’esperienza che non vorremmo rivivere mai più e che non auguriamo a nessuno.
L’essere presi sotto la minaccia delle armi; sentirsi impotenti, sempre in balia di persone sconosciute e non amichevoli; vivere in zona di guerra combattuta nel pericolo reale di subire violenza; vivere in condizioni fisiche disagevoli: nel caldo umido della savana all’inizio della stagione delle piogge, in condizioni igieniche nulle, nella penuria di acqua e di cibo, con la presenza assillante d’insetti e di altri animali, il dormire per terra.
Tutto questo è stato non solo esperienza vissuta di radicale povertà, ma anche esperienza di violenza subita, privati della libertà, degli affetti e costretti a restare sotto la minaccia delle armi. Anche se dobbiamo dire che non siamo stati maltrattati, né legati né bastonati.
Un piccolo inferno sotto due grandi alberi della foresta nella savana nigeriana.
Ciò che ci ha aiutati
I momenti di sconforto certamente non sono mancati, ma il sostegno reciproco, il parlarci e il condividere i nostri pensieri, ci riportava a guardare con occhi più sereni la realtà. La paura in alcuni momenti sembrava aver la ragione, ma allora nel richiamarci la Parola di Gesù di molti passi evangelici che descrivevano esperienze analoghe (es: la tempesta sedata) ci aiutava a fare del vangelo una realtà…il sole dopo la tempesta, l’alba dopo la notte.
E’ stato allora il tempo di verificare quanto la fede creduta e annunciata (in quanto apostoli e missionari) abbia realmente capacità di illuminare i nostri passi.
Abbiamo dato tempo alla preghiera, alla condivisione e meditazione fraterna del vangelo ogni giorno. Nel silenzio poi, la preghiera personale sigillava quanto si condivideva insieme.
La comunione dei santi
La nostra fede alimentata dalla comunione di preghiera e d’affetto di tante e tante persone e comunità ci ha sostenuto dandoci serenità e pace interiore.
Solo dopo la liberazione ci siamo resi conto che quello che abbiamo condiviso tra noi tre in prigionia è stata la “comunione dei santi”, non solo creduta, ma vissuta come una luminosa catena di comunione e di preghiera con la Chiesa “fino agli estremi confini della terra”. La comunione dei santi è stata veramente straordinaria e ha permesso che la grazia di Dio ci sostenesse e infine ci salvasse. Sì, pensavamo che ci fossero persone e comunità che pregavano per noi, come noi non abbiamo mai smesso di pregare per tutte le persone care e le nostre comunità perché immaginavamo la sofferenza grande di non sapere le nostre condizioni. Ma non potevamo pensare alla mobilitazione di grazia che si era dispiegata per noi tre.
Così la Parola di Gesù ci ha sempre custoditi mai abbandonati e ha trasfigurato il dramma di un sequestro nel “tesoro nascosto nel campo”.
Segni di luce
Fin dal primo momento abbiamo sperimentato dei segni di luce che i più potrebbero giudicare come sia stato il caso a produrre certe circostanze favorevoli a custodire la nostra vita, e non la presenza amorevole del Signore. Qualche esempio: come sia successo nella notte del sequestro che i nostri piedi scalzi, non si siano graffiati o trafitti su qualche canna di miglio o sasso o spina, percorrendo nell’oscurità il tragitto dalla Missione alla strada asfaltata dove ci attendeva un’automobile per portarci via, questo non lo sappiamo. Fortuna? Il caso? (Grazie Signore!)
All’arrivo al mattino, dopo undici ore di viaggio, nel campo di prigionia in Nigeria, ci sono state consegnate alcune cose che i rapitori avevano rubato dalle nostre stanze: una piccola borsa con i miei occhiali di riserva (grazie Signore!), dei fogli e una penna, poi usati da suor Gilberte per redigere un diario (grazie Signore!); e infine –udite ! – la mia borsa con tutto il materiale per celebrare l’Eucaristia. Stupiti e increduli abbiamo pensato che loro sicuramente non sapessero di cosa si trattasse, se non magari materiale per far da mangiare o qualche medicinale. Così ne abbiamo approfittato e per quattro giorni, lì sulla stuoia per terra, abbiamo celebrato l’Eucaristia, mentre i nostri guardiani, distanti 5-6 metri si esercitavano ossessivamente a recitare a voce alta, il Corano.
Grazie Signore di essere venuto con noi nella foresta e di aver spezzato il pane della tua presenza. Grazie Signore di “aver messo la tua stuoia tra di noi” per accompagnarci in quella che è stata una lunga quaresima, deserto di tentazioni e un avvento speciale nell’attesa fiduciosa della liberazione.
Dopo quattro giorni, purtroppo, su denuncia di un giovane guardiano che aveva intuito che stavamo pregando, ci è stata tolta la borsa, con la promessa tuttavia che ci sarebbe stata restituita al momento della liberazione. Ciò che poi in realtà non è avvenuto per circostanze non previste; così calice, patena, particole, vino sono rimasti là come segno…come la “tomba vuota”.
Ci è stata tolta la celebrazione eucaristica, ma in fondo non ci è stato tolto il pane eucaristico fatto dalla Parola di Gesù che ogni giorno abbiamo condiviso, meditato e contemplato, scegliendo brani evangelici, raccontati a memoria; il pane eucaristico fatto dagli altri momenti di preghiera comune che animavamo a turno: il rosario, la preghiera del mattino e della sera; il pane eucaristico fatto dalla nostra fraternità vissuta nel dialogo spirituale, nel racconto delle nostre vite (tempo ne avevamo !), col sostenerci nei momenti più difficili di sconforto, nel servizio prendendoci cura l’uno dell’altro.
Una presenza missionaria “diversa”
Con la preghiera sulle labbra e il vangelo nel cuore ci siamo detti che quell’esperienza, non voluta, stava diventando una grande chiamata a vivere, pur nell’estremo, una presenza missionaria, una presenza di Chiesa missionaria (“dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”) dove nessun missionario sarebbe arrivato di propria iniziativa. Era l’ultimo posto che un missionario avrebbe scelto e noi comunque c’eravamo, “spinti dallo Spirito”. Non sappiamo come Gesù abbia incontrato il cuore dei nostri rapitori, certamente intanto li ha incontrati con la nostra presenza fraterna, la nostra serenità, la nostra preghiera per loro.
Sono stati in questo modo un’esperienza e un annuncio di una chiesa povera, spogliata di ogni mezzo, anche della “parola parlata” (non potevamo capirci), per lasciare lo spazio, tutto lo spazio allo Spirito che soffia dove vuole, quando vuole, su chi vuole, attraverso la presenza di una chiesa impotente.
Questa consapevolezza ci ha interrogato e tra noi c’è stato molto dialogo pensando alla vita missionaria nella parrocchia di Tchere. Cosa vuole dirci il Signore? Perché una Missione così ben avviata (quest’anno avremmo celebrato il 20mo della fondazione) ora si trova improvvisamente a doversi ripensare? Pur continuando a sostenerla con un certo aiuto, non possiamo nasconderci che non sarà più come prima. Non è che allora dobbiamo comunque ripensare la nostra opera missionaria? Presenza, priorità, stile, mezzi? La nuova evangelizzazione forse non riguarda solo i paesi di antica tradizione cristiana, ma anche le chiese missionarie nei vari continenti.
Un cammino di conversione
La scoperta di questo tesoro nascosto nel campo ci ha portati anche a rivedere la nostra vita personale in termini di conversione.
Il Signore, cosa ci chiama ad essere e a fare dopo averci fatto vivere questa lunga quaresima e questo avvento di liberazione?
Una parola forte che è emersa spesso nel nostro dialogo era: spogliazione.
Sì, lì abbiamo sperimentato cosa vuol dire spogliazione in tutti i sensi: eravamo poveri, impotenti, fragili, alla mercé degli uomini e della natura. E in quelle condizioni abbiamo toccato la paternità di Dio attraverso la nostra stessa fraternità e l’ispirazione del cuore.
Si è così radicata la consapevolezza che la povertà di spirito delle beatitudini non può passare che attraverso una certa povertà di mezzi, attraverso una reale spogliazione di sicurezze, attraverso l’impotenza. Solo così ci potrà anche essere una vera e rispettosa condivisione con i poveri.
In questo contesto, per me personalmente, la preghiera dell’abbandono di Charles de Foucauld è diventata più concreta, comprensibile e la scelta dell’ultimo posto una strada da percorrere con fiducia.
Un’altra parola forte è stata: fraternità-comunione
L’abbiamo vissuta comprendendo che il Signore ci aveva fatto dono di “stare insieme” per far fronte alla tempesta. Abbiamo imparato che ciò che unisce è più forte di ciò che divide; che la forza di uno è la forza di tutti e che la debolezza di uno è l’occasione per attingere alla forza di Dio e alla luce della risurrezione.
La misericordia di Dio passa attraverso la misericordia del fratello.
La preghiera delle varie comunità cristiane per noi prigionieri ha fatto emergere in maniera forte l’icona del corpo le cui membra più forti si piegano a sostenere le membra più deboli.
Altra parola forte: pace.
Una pace da ricercare, da chiedere nella preghiera. Pace per la Nigeria, pace per il Cameroun, pace per le chiese interessate, pace per le varie comunità religiose, cristiane e musulmane. Preghiera per aprire le porte allo Spirito di Dio che per la sapienza e grazia poteva toccare gli animi e trovare cammini di riconciliazione, di intesa, di liberazione.
Una pace per cui impegnarsi, rifiutando ogni violenza come forma di ricerca del diritto.
La violenza, cercando il diritto di uno, calpesta i diritti di un altro. Le armi, la costruzione e il mercato delle armi, non sono nel cuore, nel disegno di Dio.
La settimana santa 2014 resterà indimenticabile.
La partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù è stata quest’anno esistenziale fino all’ultimo: nella notte della liberazione ad un certo punto avevamo motivi seri e palpabili per pensare che le trattative e gli accordi fossero andati a monte e perciò dovevamo ritornare “nel sepolcro” della foresta, in savana. Abbiamo intensificato la nostra preghiera, il nostro abbandono, la nostra umiltà nel chiedere l’impossibile. “Tutto è possibile per chi crede…” (Mc.9,23), allora Signore se tutto è possibile…è possibile tutto…liberaci !
Nel momento della morte avvenuta, in cui sembra che tutto sia veramente finito (“…è lì da quattro giorni nel sepolcro” Gv.11,39), è in quel momento che la luce della risurrezione diventa realtà.
Il sabato 31 maggio, festa di nostra Signora della Visitazione, siamo partiti dal campo di prigionia per quella che doveva essere la libertà annunciata e quella notte abbiamo temuto di non farcela proprio, ma nell’intercessione di Maria madre di Gesù e madre nostra, siamo stati infine liberati …nella festa dell’Ascensione, ”ha portato con sé prigionieri” (Ef 4,8), per la nostra gioia e per la gioia di quanti ci vogliono bene.
Per la gloria di Dio.
“Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”.
PDF: NULLA TI TURBI, Giannantonio ALLEGRI