Don Giorgio Pisano, amico delle fraternità di Charles de Foucauld
Padre Giorgio, come viene di solito chiamato a Portici nel Napoletano, è un “amico storico” della nostra fraternità e della Famiglia spirituale di Charles de Foucauld; da oltre trent’anni, da quando ha iniziato a frequentare Spello è, di fatto, un fratello che fa sentire la sua vicinanza. Fino all’inizio del Covid, assieme ad un gruppo dei suoi parrocchiani, ha frequentato mensilmente la fraternità del Goleto per una giornata di spiritualità-preghiera-condivisione fraterna…
In questi giorni dell’Assunta abbiamo avuto la gioia di averlo con noi all’Abbazia di Sassovivo. Nel ringraziarlo della sua amicizia fraterna, desideriamo condividere un estratto di un suo articolo, sulle Beatitudini, apparso sulla rivista Jesus Caritas nell’ottobre 2020.
“Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli”
Vorrei dare un’enfasi maggiore alla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli”, essendo essa a dare l’avvio, il “la” alle altre.
Cosa significa “beati i poveri in spirito” per la comunità giudeo-cristiana matteana?
Alcuni pensano che possa essere possibile un distacco “spirituale” dalle ricchezze pur possedendole. Si vive negli agi, sentendosi poveri, esercitando uno stoico distacco da essi. Ma ciò è ingiusto e antievangelico. Questa forma di distacco potrebbe essere una sorta di dissociazione.
Più che poveri “in spirito” è meglio tradurre allora “poveri per lo spirito” (A. Maggi). I poveri per lo spirito sono coloro che scelgono di essere poveri e di condividere affinché non manchi il necessario agli altri.
Gesù viene a proporre un distacco vero, reale per diventare poveri per lo spirito, cioè persone che scelgono di entrare volontariamente e liberamente nella condizione della povertà. La povertà subita e non scelta, non può essere una realtà voluta da Dio né tantomeno una beatitudine per i tanti affamati della terra. Essa costituisce una profonda ingiustizia. Il compito del cristiano è quello di contribuire ad eliminare la condizione di povertà e di miseria nel mondo.
Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù affermando: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” fa riferimento a qualcosa di molto concreto cioè alla cancellazione e al condono radicale dei debiti. Lui ci propone un giubileo permanente, una pratica abituale del condono dei debiti da diventare stile di riconoscimento della comunità cristiana.
Nella primitiva comunità di Gerusalemme, “nessuno era bisognoso” (cfr. At 2,42-48). La condivisione dei beni era uno dei punti focali di essa e diventava la dimostrazione che nell’affidarsi a Dio era possibile il bel segno della condivisione. Una comunità che vuole vivere veramente della Pasqua del Risorto, fa di tutto affinché non ci siano persone che posseggono e persone che non posseggono. Occorre davvero “abbassare il proprio livello di vita, per permettere a quelli che lo hanno troppo basso di innalzarlo”. Quindi niente astrattismi, spiritualismi disincarnati ma piuttosto scelte progressive verso un sereno radicalismo evangelico che dia gloria a Dio: “Gloria Dei, homo vivens” (S. Ireneo).
San Paolo scrive: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…” (Ef 2,5-7); “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatti povero per voi” (2 Cor 8,9).
Fino a che punto allora ci fidiamo del Signore sì da decidere di entrare nella povertà, liberamente, volontariamente, per amore, sentendoci responsabili della felicità e del benessere degli altri?